Chernobyl: differenze tra la serie tv e la realtà
È stata una delle serie tv più apprezzate del momento ma quanto è rispondente alla realtà degli eventi accaduti? Scopriamolo insieme.
Chernobyl è diventata la serie tv più vista in Europa su Sky, con 600mila spettatori medi per l’ultima puntata, andata in onda su Sky Atlantic lunedì 8 luglio. Prodotta da Hbo e dalla stessa Sky, racconta il più terribile disastro nucleare della storia, mantenendo sempre alto il livello della tensione e puntando il più possibile sulla fedeltà agli avvenimenti. «La produzione era ossessionata dal rispettare l’andamento della storia – ha raccontato al Chernobyl Podcast Craig Mazin, sceneggiatore e produttore della serie -. Questo soprattutto per il rispetto delle persone che, direttamente o no, sono state vittime della tragedia».
Il successo della serie
La serie ha avuto gran successo per aver portato nuova luce su una vicenda per molti aspetti ancora oscura e per essere riuscita a tenere gli spettatori incollati senza dover ricorrere a sensazionalismi e senza la necessità di romanzare eccessivamente personaggi e avvenimenti. «Quando ho fatto le mie ricerche – ha detto ancora Mazin – mi facevo guidare da un principio: se c’erano varie versioni dei fatti, sceglievo sempre quella meno clamorosa, perché è probabile che fosse la più vera».
È una storia, quella di Chernobyl, che non ha bisogno di particolari artifici per diventare un prodotto di successo. Ma si tratta comunque di un riadattamento cinematografico che deve condensare in cinque ore una vicenda molto complessa e ancora oggi ricca di riflessi sulle vite delle persone. Ci sono personaggi e scene molto fedeli, altre un po’ meno (ma comunque la ricerca della verità, filo conduttore della serie stessa, ha guidato Hbo e Sky nelle scelte). Qui di seguito verifichiamo la veridicità o meno di alcune scelte, ma attenzione: SPOILER ALERT.
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Il set
La serie non è stata girata a Pripyat, una scelta che rende ancor più fedele l’ambientazione. La Pripyat di oggi, città fantasma abbandonata da oltre trent’anni, è infatti molto diversa da quella dei giorni successivi all’esplosione del reattore Rbmk a Chernobyl. Per questo, la produzione ha scelto di girare per la maggior parte della serie in Lituania (e un po’ in Ucraina), in una città costruita negli stessi anni di Pripyat. I sovietici non avevano grande fantasia architettonica, ragion per cui il quartiere di Vilnius in cui hanno girato alcune scene è molto simile alla Pripyat di fine anni ’80. Sono molto fedeli anche i costumi: quelli dei pompieri, ad esempio, sono autentici.
Ulana Khomyuk
Interpretata da una bravissima Emily Watson, questa fisica bielorussa è (come per altro specificato nei titoli di coda della quinta e ultima puntata) un’invenzione dello sceneggiatore Craig Mazin. È l’unico personaggio non reale della serie, ma il suo ruolo ha un compito specifico: rappresentare tutto il pool di scienziati che hanno aiutato Legasov nel suo lavoro a Chernobyl, stimolandolo ad andare a fondo nella ricerca della verità. È stato scelto di immaginarla donna per indicare, pur in una società profondamente maschilista, la presenza in Urss di donne in posizioni anche molto importanti nel mondo della scienza .
La scena in cui lei intuisce il disastro di Chernobyl misurando la radioattività nell’aria a Minsk non è vera ovviamente, visto che Ulana Khomyuk non esiste, ma è vero che nell’istituto di fisica della capitale Bielorussia avevano capito che qualcosa non andava guardando i livelli di radioattività e non ricevendo risposte alle chiamate fatte alla centrale di Chernobyl.
La stanza dei
bottoni
La ricostruzione di cos’è successo nei momenti precedenti e successivi all’esplosione del reattore numero 4 è il più possibile dettagliata e vicina alla realtà. I personaggi presenti erano tutti all’interno della sala di controllo (ce n’erano anche altri meno importanti, e quindi non rappresentati dalla serie). Alcune parole pronunciate dagli scienziati sono vere, come la frase ripetuta più volte da Akimov: «Abbiamo fatto tutto giusto». Reali sono anche le voci della gente che quella notte del 30 aprile di 33 anni fa ha chiamato i pompieri, convinta ci fosse un incendio.
La riunione
del comitato esecutivo
Poche ore dopo l’esplosione, si riunisce il comitato esecutivo per decidere il da farsi. Qui i dialoghi sono scritti dallo sceneggiatore, l’anziano membro del partito non ha pronunciato davvero quelle parole. La scena però rappresenta, riadattata, una situazione che si è verificata davvero, e cioè la contrapposizione tra chi (lo scienziato giovane) vuole si faccia luce su quello che sembra un incidente molto grave e coloro che invece (impersonificati dall’anziano), per la maggior parte comunisti della prima ora, sostengono la necessità di non dire nulla all’esterno, per non far apparire debole l’Unione sovietica agli occhi del mondo.
Il processo
È il climax di questa bellissima serie e occupa quasi tutto il quinto e ultimo episodio. Ma è anche la parte meno veritiera, visto che né Legasov, né Scherbina, né (ovviamente) la Khomyuk, erano in realtà presenti in aula. «Ci siamo presi una gran licenza drammatica – ha spiegato, sempre in un episodio del Chernobyl podcast, Craig Mazin -. Avremmo potuto mettere in scena le persone realmente presenti al processo, ma gli spettatori non le conoscevano, quindi non sarebbero stati interessati». Il processo, il cui set è identico all’ambientazione reale, è cruciale per spiegare cos’è accaduto realmente quella maledetta notte (e lo fa in maniera precisa) e per chiudere la vicenda di Legasov. Se non è vero che al processo ha accusato l’Unione sovietica di aver ignorato i problemi dei reattori Rbmk (e di aver continuato a farlo anche dopo Chernobyl), è accertato che il fisico ha iniziato a criticare duramente l’opera di insabbiamento dell’Urss, venendo per questo screditato nonostante il suo fondamentale lavoro nella gestione della crisi. Solo dopo il suo suicidio, gli verranno riconosciuti i meriti. «Il processo vuol essere un momento drammatico per far trasparire emozioni umane, evidenziare gli errori umani della tragedia di Chernobyl» ha concluso Mazin.
Le audiocassette di Legasov e la storia di Lyudmila
È vero che, prima di suicidarsi, lo scienziato Vasilij Legasov ha registrato la sua versione sui fatti di Chernobyl e sul nucleare in Russia in delle audiocassette. Non si sa nella realtà come sono state trovate, e probabilmente i discorsi di Legasov non sono così filosofici come quello su realtà e bugie che apre e chiude la serie, ma la vicenda delle audiocassette è sostanzialmente vera.
Possono essere licenze Dyatlov che vomita un minuto prima della riunione del comitato o Scherbina che minaccia Legasov di buttarlo dall’elicottero se non lo porta sopra il reattore, ma tutte le scelte sono state fatte cercando di riprodurre scene e personaggi per com’erano davvero. Il rapporto tra Scherbina e Legasov, prima di diffidenza e poi di amicizia, dev’essersi sviluppato davvero così, anche se non tutti i dialoghi e le situazioni sono realmente accadute. Vera è anche la vicenda di Lyudmila e Vasily Ignatenko, scelta tra le tante (molte raccolte nel libro Voices of Chernobyl) per la forza del loro legame: Lyudmila è davvero corsa a Mosca per stare vicino fino all’ultimo a Vasily, anche se è probabile che non le abbiano permesso di avvicinarsi a lui. Una licenza poetica in una serie ben scritta, ben diretta e ben interpretata, fedele agli avvenimenti e ai personaggi del drammatico incidente nucleare di Chernobyl.