Ragadi al seno, cause e rimedi

Se curate in tempo, si risolvono in breve. Ma se sono profonde possono causare molto dolore e indurre al rifiuto dell'allattamento naturale

20/07/2014

Ragadi al seno, meglio parlarne che provarle! Ma andiamo con ordine. Cosa sono? La ragade è una “minuscola ferita della pelle o delle mucose a forma di fessura; la si trova più spesso sul capezzolo, nell’ano, sulle labbra”. Questa è la definizione che si potrebbe trovare su un dizionario. Una piccola lesione, quindi, ma – e questo il dizionario non lo dice – particolarmente “antipatica” perché cicatrizza con difficoltà e perché è particolarmente fastidiosa, se non dolorosa. Anzi, in alcuni casi può essere molto dolorosa: ci sono donne che ricordano con incubo il dolore delle ragadi al seno piuttosto che quello del parto. E un dolore così inteso può portare al rifiuto dell’ allattamento al seno o alla perdita del latte.

I rimedi della nonna

Intorno all’allattamento ci sono da sempre false credenze come giusti rimedi e le ragadi non sono da meno. Le ragadi al seno hanno accompagnato le madri da sempre e la tradizione ha cercato i più svariati rimedi per curarle ma ancora prima per prevenirle. I rimedi delle nostre nonne erano empirici, ma con qualche base scientifica: per prevenirle consigliavano di “strigliare” il seno, e soprattutto, i capezzoli con il guanto di crine, per stimolarlo e rafforzarlo; per curarle, utilizzavano dei copricapezzoli d’argento: l’argento ha infatti proprietà antibatteriche e disinfettanti. Abbiamo detto “usavano”, in realtà i copricapezzoli d’argento sono in vendita e utilizzati tuttora. Per il guanto di crine le opinioni invece sono discordi: chi ha una pelle robusta, quella che a volte viene definita “pelle di coccodrillo”, può averne dei benefici, ma per chi ha una pelle sottile e fragile si rischia di procurare microlesioni che anziché prevenire potrebbero favorire le ragadi.


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Il giusto allattamento

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Ricordiamoci che per succhiare bene e stimolare adeguatamente la lattazione, il bambino deve afferrare non solo il capezzolo, ma anche l’areola circostante con una presa dal basso verso l’alto. La pelle verrà stirata di meno e quindi sarà più facile che non si irriti e, nel caso sia già leggermente lesionata, non subisca ulteriori traumi. Se dovete staccare il bambino contro la sua volontà, per impedire uno strappo mettete la punta del mignolo nell’angolo della bocca del bambino: il piccolo si staccherà dolcemente.

Quali le cause e come curarle

Pelle fragile, eccessiva umidità ed errori nell’attaccare il bimbo al seno sono le principali cause della formazione di ragadi. Non è un caso che le puerpere più alle prese con queste fastidiose lesioni siano le primipare. La cura inizia prima del parto: già da metà gestazione la donna dovrebbe massaggiare i capezzoli cercando di estenderli prendendoli delicatamente tra due dita e tirandoli e torcendoli, massaggiandoli poi con creme idratanti. In questo modo si elasticizzano e si aiutano nella estroflessione, in modo da aiutare il bambino alla giusta presa.


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Durante l’allattamento ricordiamoci poi di asciugare bene il capezzolo (l’ideale – se possibile – in maniera naturale, cioè facendogli prendere aria) o, in alternativa, lasciare seccare su di esso del latte, in modo da formare una pellicola protettiva. Per assorbire eventuali perdite tra una poppata e l’altra, utilizzate delle coppette assorbenti in puro cotone stando attente a cambiarle se si inumidiscono troppo. Potete anche trattare i capezzoli con delle pomate cicatrizzanti a base naturale, come le fitostimoline o l’aloe, con la precauzione di detergere bene prima della poppata in particolare se utilizzate l’aloe che ha un sapore amaro, tanto che le donne Inca la utilizzavano per far rifiutare il seno ai neonati cresciutelli in modo da favorire lo svezzamento.

Quando utilizzare il tiralatte

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Se la lesione è pronunciata, allora può convenire non attaccare direttamente il bambino al seno (azione che riapre ogni volta la ferita e può arrivare a causare un dolore così forte da togliere il respiro alla mamma e a indurla a rifiutare l’allattamento naturale) ma utilizzare il tiralatte, meglio quello manuale che richiede più tempo ma è “più dolce” di quello elettrico.

Se c’è sangue o pus

Se vedete del sangue, magari nel rigurgito del vostro piccolo, non fatevi impressionare perché il più delle volte si tratta di qualche goccia dovuta al riaprirsi della ferita, soprattutto se taglia traversalmente il capezzolo. Ma dovete stare molto attente perché una ferita “viva” può infettarsi facilmente. Se però vi accorgete che l’odore non è dei più freschi e che trasudate pus, allora dovete correre ai ripari interpellando con urgenza l’ostetrica o il ginecologo per valutare se è il caso di intervenire con una protezione antibiotica. Dal capezzolo l’infezione rischia di propagarsi di dotti galattofori e di evolversi in mastite.

Foto di apertura, credit Francesca Solaro