L’amore che uccide. Il caso Poggi

Uno dei delitti più efferati degli ultimi anni è stato senz'altro il caso della giovane Chiara Poggi, assassinata nella sua abitazione di Garlasco nel 2007. Il fidanzato Alberto Stasi è stato condannato a 30 anni.

20/08/2015

Chiara, occhi azzurri, ventisei anni e una laurea in informatica presa da poco, trova la morte nella sua abitazione di Garlasco il 13 agosto 2007, una mattina in cui i genitori non sono in casa perché partiti per le ferie. Viene massacrata con addosso ancora il pigiama da qualcuno di fiducia, qualcuno che sapeva di trovarla sola e a cui Chiara ha serenamente aperto la porta di casa. Le indagini hanno portato a identificare il reo nel fidanzato Alberto Stasi.

Alberto Stasi, unico indagato

Alberto è il ragazzo di Chiara, ha la fama del bravo ragazzo, frequenta economia alla Bocconi. I due stanno insieme da anni quando arriva quel giorno di agosto e lui è il primo a dare l’allarme. Alberto all’epoca ha 24 anni. Agli investigatori il ragazzo spiega di non essere riuscito a contattare Chiara per tutta la mattina e di essersi poi recato presso la sua abitazione intorno all’ora di pranzo, quando fa la terribile scoperta.

Subito interrogato, non convince l’alibi del giovane che sostiene di essere stato tutta la mattina in casa a studiare al pc; non convince e non sembra essere verificabile ma in primo grado Alberto viene assolto così come in appello per “insufficienza della prova di colpevolezza”. Nel 2014 arriva però l’annullamento della sua assoluzione dalla Cassazione e nel mese di novembre al processo di appello bis arriva la richiesta di una condanna a 16 anni e un risarcimento per la famiglia Poggi di dieci milioni di euro. Sedici anni perché non viene riconosciuto l’aggravante della crudeltà nell’uccisione di Chiara. Alberto il giovane studioso che riesce a laurearsi in Economia anche dietro le sbarre di un carcere è lo stesso ragazzo ossessionato dal porno, si scoprirà presto.


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I Motivi dei ribaltamenti di pena e gli errori degli inquirenti

La Scientifica negli anni ha continuato con le sue perizie, in particolare nuovi accertamenti sulle impronte delle scarpe lasciate sul luogo del delitto e sulla camminata di Stasi all’interno di casa Poggi al momento del ritrovamento del cadavere. Impronte intrise di sangue lasciate dall’assassino sul pigiama di Chiara considerate insieme alle sue impronte digitali lasciate da Stasi sul dispenser del sapone in bagno con cui Stasi avrebbe lavato le mani. Due graffi sull’avambraccio notati dai Carabinieri al momento della denuncia e diversi dettagli ritrovati sul volto della vittima che smentirebbero i racconti del bocconiano.

Lacune nelle perizie scientifiche sul caso Poggi

Tanti elementi che in questa lunga indagine purtroppo sono stati inizialmente ignorati, non considerati, omessi dagli investigatori, andando a rendere ancora più difficoltose le indagini. Determinante è stata dopo anni l’analisi dei tappetini dell’auto di Stasi, quella che lui avrebbe preso da casa sua per recarsi alla Caserma dei Carabinieri. Lo studio delle impronte insanguinate, secondo i magistrati, ha escluso “il passaggio di Stasi dal luogo del delitto nei termini da lui forniti”. Le lacune delle prime indagini sono state colmate dalle ulteriori perizie delle successive che hanno portato alla condanna.


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Chiara uccisa, perché una presenza scomoda?

Sembra che il movente fosse che Chiara era diventata per il suo ragazzo una presenza ingombrante, un ostacolo tanto per le sue ambizioni professionali quanto per le sue perversioni da pornografo compulsivo. Un’ipotesi, perché non si ha conferma di queste motivazioni. Un raptus quello di Alberto, forse dovuto a verità scomode, a una qualche minaccia di lei, che lo ha portato a ucciderla e a trascinarne il corpo giù per le scale. La Corte d’Assise  d’appello ribalta le sentenze di primo e secondo grado e condanna Alberto Stasi a 16 anni di carcere. Inoltre Chiara non si è difesa e non ha reagito, è stata uccisa da qualcuno che amava e di cui si fidava. L’alibi di Stasi non è incompatibile secondo il giudice Bellerio con l’ora del delitto accertata dalle perizie definitive e non è inverosimile che il reo dopo il delitto sia tornato alle sue abitudini quotidiane, il lavoro al pc, lo studio, i film pornografici. Le incongruenze poi sul racconto del giovane che dichiarò di non essersi avvicinato al corpo dopo il ritrovamento, in contrasto con le impronte sul dispenser del sapone insanguinato, che  restano pur sempre le sue, così come il combaciare di marca di scarpe di Stasi e numero di piede con quelle dell’aggressore.