Che la frutta e la verdura siano alimenti generalmente sani e facciano bene alla salute è cosa nota da tempo e che va ben oltre ad una semplice reminiscenza della saggezza popolare. Eppure, sebbene sia un concetto universalmente accettato e da tempo suffragato dagli studi scientifici e nutrizionistici in materia, sembra una verità un po’ dimenticata – a volte volutamente ignorata – nella attuale società dell’opulenza e, spesso, dell’iper-alimentazione. Almeno è quanto si evince da recenti studi e rilevazioni che hanno evidenziato come negli ultimi anni il consumo medio di frutta e verdura da parte degli italiani si sia attestato su una curva costantemente in discesa, con livelli in calo in maniera sensibile: circa il 20% in meno con gli attuali 303 grammi giornalieri pro capite rispetto ai 363 dell’anno 2000. Un trend da un lato sorprendente e dall’altro preoccupante, anche perché associato alla crescita di consumo di diversi alimenti decisamente meno salutari che stanno prendendo sempre più piede.
Basterebbero 200 grammi in più al giorno…
Eppure basterebbe una piccola inversione di tendenza di questo dato per dare un contributo che si rivelerebbe estremamente importante per combattere una delle più diffuse e tipiche “malattie della modernità” che piagano la nostra società consumistica: i disturbi cardio-vascolari che in Italia rimangono ancora oggi la prima causa in assoluto di decesso. E’ quanto rivela un interessante studio effettuato da Agroter, agenzia di marketing specializzata nel campo agroalimentare e dei prodotti sostenibili e presentata da Roberto Della Casa, direttore dell’agenzia, e professore di Marketing dei prodotti agroalimentari all’Università di Bologna. La valutazione emersa dalla raccolta dei dati incrociati con l’analisi delle abitudini alimentari, arriva a stimare che aumentando la media giornaliera di consumo di frutta e verdura di soli 200 grammi pro capite, si arriverebbe a diminuire di altre 20.000 unità i casi di casi di morte per problematiche legate all’apparato cardio-vascolare, cosa che tra l’altro, comporterebbe un risparmio sul bilancio della spesa sanitaria nel nostro paese di circa 1,5 miliardi di euro all’anno.