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Pizza napoletana patrimonio dell’Unesco, cosa vuol dire per l’Italia il riconoscimento all’arte dei pizzaioli

L’entusiasmo per il grande traguardo non accenna ad arrestarsi: dopo la decisione di iscrivere l’arte della pizza napoletana tra i beni patrimonio dell’Unesco, il coro di felicità ed orgoglio per questo gioiello alimentare made in Italy si fa sempre più numeroso.

Dopo i grandi festeggiamenti a Napoli nelle celebri pizzerie del centro storico, con tanto di incursione del ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini impegnato ad impastare ed infornarne una a Capodimonte dove è nata la Margherita, anche la Federazione Italiana Pubblici Esercizi ha espresso grande soddisfazione per la decisione dell’Unesco.


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Nello specifico, a rientrare nel patrimonio tutelato dall’ONU attraverso l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura (Unesco) è l’Arte del pizzaiuolo napoletano, che trova finalmente la sua consacrazione facendo il suo esordio nella lista degli elementi dichiarati Patrimonio Intangibile dell’Umanità. Un primato assoluto, visto che per la prima volta viene riconosciuto quale patrimonio culturale immateriale dell’umanità un mestiere legato alla preparazione e alla somministrazione di un cibo della tradizione culinaria italiana: per l’intero settore della ristorazione si tratta della conferma di rappresentare una delle più alte espressioni culturali dell’Italia, che già vanta anche la dieta mediterranea, nata nel Cilento, nella medesima lista di patrimoni dell’umanità.

L’impatto profondo che questa scelta dell’Unesco ha sul nostro Paese lo ha sottolineato anche Aldo Mario Cursano, Vice Presidente Vicario di Fipe: “La pizza è un prodotto identificativo dell’Italia, famoso in tutto il mondo, che oggi finalmente viene riconosciuto patrimonio universale, con la consapevolezza che la cucina italiana in tutte le sue manifestazioni è unica ed imitabile, sia per le materie prime che per la professionalità. Oggi questa unicità, tante volte imitata, banalizzata in giro per il mondo, viene riconosciuta come un patrimonio da salvaguardare e che identifica la storia e la cultura di un popolo, quello italiano“.

E d’altronde bastino le cifre del settore a dare un quadro di quanto il bene immateriale ma soprattutto culturale rappresentato dall’arte di saper fare la pizza sia importante per l’economia italiana: al momento, fa sapere Fipe, si contano in Italia 25.000 pizzerie con servizio, 150.000 addetti e un volume d’affari di oltre 6 miliardi di euro (11,80€ lo scontrino medio).

La pizza è un prodotto intergenerazionale, iconico, per tutte le occasioni, consumato dalla colazione del mattino passando per il pranzo e gli spuntini fino ad arrivare alla cena (pasto per cui risulta in cima alla classifica dei piatti scelti). Quest’anno 2,6 milioni di italiani hanno cenato fuori casa almeno tre volte alla settimana prevalentemente in pizzeria, con una spesa di 21,20 euro.


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Una tradizione centenaria italiana che è stata esportata in tutto il mondo, come ben sanno gli Stati Uniti, dove la pizza è venerata e in cima alle classifiche dei consumi alimentari, anche se non sempre è quella che noi identifichiamo con la classica pizza napoletana. “È ufficiale: la pizza di Napoli è una delle glorie della civiltà” titola l’edizione online del New York Times, complimentandosi con i pizzaioli napoletani per il riconoscimento di quella vera e propria arte che, come ha ricordato Gino Sorbillo dell’omonima storica pizzeria, “è iniziata a Napoli ed è sopravvissuta nei secoli, alle difficoltà, i terremoti, le guerre, il Vesuvio“. E la motivazione con cui l’Unesco ha accompagnato la sua proclamazione a patrimonio dell’umanità sottolinea proprio l’enorme bagaglio valoriale della pizza, oltre all’aspetto meramente legato al gusto e all’arte culinaria.

Il know-how culinario legato alla produzione della pizza, che comprende gesti, canzoni, espressioni visuali, gergo locale, capacità di maneggiare l’impasto della pizza, esibirsi e condividere è un indiscutibile patrimonio culturale. I pizzaiuoli e i loro ospiti si impegnano in un rito sociale, il cui bancone e il forno fungono da ‘palcoscenico’ durante il processo di produzione della pizza. Ciò si verifica in un’atmosfera conviviale che comporta scambi costanti con gli ospiti. Partendo dai quartieri poveri di Napoli, la tradizione culinaria si è profondamente radicata nella vita quotidiana della comunità. Per molti giovani praticanti, diventare Pizzaiuolo rappresenta anche un modo per evitare la marginalità sociale.

Claudia Gagliardi

Lavoro con le parole, soprattutto quelle scritte, sin da quando ho scelto di studiare Comunicazione all’università. Adoro le storie, pensate, raccontate, messe in scena, soprattutto quando attingono da elementi di realtà. Attualmente sono impiegata presso la testata OptiMagazine.com, per cui gestisco il canale Serie Tv e curo la rubrica Serial Stalkers dedicata all’universo delle serie televisive, amministrando anche l'omonima pagina Facebook. Per hobby sono admin della community (Facebook, Twitter, Instagram) Maratoneti di Mentana.

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