Onde gravitazionali. Già il nome mette una certa soggezione e può indurre ad avvicinarle con una certa circospezione che i non-addetti-ai-lavori come noi debbono necessariamente mettere in conto. Però quando la comunità scientifica internazionale si sbilancia con un entusiasmo raramente visto ed afferma di avere fatto una delle più grandi scoperte sperimentali degli ultimi cento anni, la cosa non può essere passata sotto silenzio, specie se si considera il decisivo ruolo che hanno avuto in essa i ricercatori italiani.
E’ proprio quello che è successo l’11 febbraio scorso, quando in due conferenze stampa congiunte ed idealmente “parallele” a Pisa e Washington è stato dato il grande annuncio da parte dei due principali enti che hanno concorso per arrivare all’importante risultato sperimentale annunciato: l’European Gravitational Observatory in cui è compreso anche il progetto italiano “Virgo” e il suo omologo statunitense “Ligo”, ovvero Laser Interferometer Gravitational Wave Observatory del Mit, il celebre Massachusetts Institute of Technology. Una collaborazione senza precedenti che ha visto impegnati più di mille ricercatori appartenenti a 133 diverse istituzioni scientifiche di tutto il mondo.

Qual genio di Albert

Insomma, come aveva esattamente previsto Albert Einstein con la sua Teoria della Relatività nel lontano 1915 forte del proprio straordinario cervello e senza alcuna evidenza sperimentale, le forze dell’universo sono in grado di influire sull’insieme spazio-tempo, la cui curvatura dipende dalla relativa distribuzione in esso dell’energia e delle masse che influiscono su di esso emettendo “onde”.
Al di là dell’effettiva comprensione della vicenda, non si può non restare affascinati e stupiti da come Einstein avesse previsto l’esistenza di qualcosa che solo cento anni dopo la tecnologia ha permesso di verificare e, d’altra parte, di come siano misteriosamente suggestive e rigorose le leggi di un universo che si lascia conoscere a poco a poco e che permette di “prevedere” il proprio comportamento…
Pietra miliare
La scoperta ha preso origine il 14 settembre scorso, quando due incredibili strumenti allestiti dal LIGO a Washington ed in Louisiana hanno captato un segnale “anomalo” osservando il processo di fusione di due enormi buchi neri grandi insieme circa 60 volte il nostro sole in una remota zona dell’universo distante da noi circa 410 megaparsec, vale a dire circa un miliardo e mezzo di anni luce. Il che significa che questo mostruoso evento astronomico è avvenuto un miliardo e mezzo di anni fa e noi lo percepiamo solo ora.
L’evidenza sperimentale della loro esistenza è stata già marchiata come una pietra miliare della fisica ed apre scenari incredibili. I più immediati, molto più scientifici, intravedono un nuovo modo di studiare il cosmo e i suoi eventi più misteriosi come i buchi neri, la sua perenne espansione o il big bang, considerando spazio e tempo come due elementi dello stesso unicum. Ma non mancano coloro che si lanciano in ipotesi assai futuribili e ai limiti della fantascienza, come quella di trovare canali spazio-temporali nell’universo capaci di “annullare lo spazio” – ricordate il leggendario teletrasporto di Star Trek? – o di “annullare il tempo” e magari metterci in grado di viaggiare attraverso di esso. Folli fantasie o possibilità reali? Ce lo dirà il futuro anche se probabilmente riserverà la risposta solo ai posteri…
Photo Credit: Umptanum
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