Flamenco, un mondo da scoprire (fotografia di Fulvio Pettinato)
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Definirlo è impossibile. Dichiarato dall’UNESCO Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità, il flamenco è un’arte unica, che accoglie e fonde in sé la storia e la cultura dei popoli che, nei secoli, attraversarono l’Andalusia.
Vi sono varie ipotesi – più o meno pittoresche – sulle sue origini: certo è che nel flamenco si intrecciano il folklore andaluso, l’eredità araba, l’influenza ebraica e la cultura dei gitanos, popolo di origine indiana che, agli inizi del XV secolo, si stabilisce dopo lungo errare e infinite peripezie nel Sud della Spagna.
È proprio ad opera dei gitanos che, verso la fine del 1700, inizia a prendere forma quello che oggi conosciamo come flamenco.
Poco a poco, il cante esce dal mondo privato della famiglia, dei cortili, dalle taverne, mette il naso fuori dalle fiere e dalle piazze fino ad approdare, a metà Ottocento, ai Café cantante (tra i primi, ricordiamo a Siviglia il Café cantante di Silverio Franconetti, grande cantaor di origini italiane) e a riscuotere l’interesse di un pubblico sempre più vasto.
A quasi duecento anni di distanza, l’essenza del flamenco è ancora in grado di stregare chi ascolta il suo canto, di ammaliare con i fraseggi della chitarra, di incantare con il ritmico incedere dei bailaores, in un’alchimia di suoni e movimenti che non trovano eguali in nessun’altra danza.
Da sempre, l’arte narra le storie più vere e più profonde, per raggiungere e svelare gli abissi – oscuri o luminosi che siano – dell’animo umano. Il flamenco, in questo, è insuperabile: ad ogni sfaccettatura delle emozioni – e, in fondo, della vita – corrisponde una struttura ritmica e melodica (palo), che il cante racconta attraverso le letras (testi) cui dà voce con sapienza e intensità il cantaor. Così, con testi popolari o ripresi ed elaborati da grandi poeti (ad esempio, Federico Garcia Lorca) ci vengono raccontate vicende quotidiane o eccezionali, fatte di amore, rabbia, allegria, dolore, tristezza, gioia, ironia.
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Leggermente diversa dalla chitarra classica, la chitarra flamenca sottolinea e accompagna con maestria le evoluzioni del cante e i passi di danza dei bailaores. Le sonorità sprigionate dallo strumento, che si suona con tecniche particolari tipiche del flamenco – pulgar, alzapuà, rasgueo, golpe, picados, arpegio – trasportano immediatamente l’ascoltatore nelle strade di Jeréz, Cadice, Siviglia, Granada…
La danza flamenca è il corpo visibile della musica e del cante: il bailaor o la bailaora costruiscono e ricamano lo spazio e il tempo senza mai abbandonare il compàs, il ritmo tipico di ogni palo, anzi, ne sottolineano la struttura con il lavoro ritmico dei piedi (zapateado) e con movimenti del tronco, delle braccia e delle mani (braceo).
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Così come non esistono due esseri umani identici, nel flamenco non vi sono due bailaores che abbiano lo stesso stile: ognuno è unico e inconfondibile, in continua evoluzione. Come la vita stessa.
Tutte le fotografie sono di Fulvio Pettinato.
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