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Ferie non godute: verranno pagate dopo la pensione?

Gli ultimi dati dell’Inps dicono che gli italiani che hanno fatto domanda per “quota 100” sono stati, al 30 settembre, 185mila. Che cosa è “quota 100”? È una legge approvata dal precedente governo gialloverde che consente alle persone la cui età anagrafica, sommata agli anni di lavoro, raggiunge il fatidico numero di 100. La legge è approvata all’interno della manovra economica del 2019. Dovrebbe consentire il ricambio generazionale nelle imprese: per ogni pensionato si potrebbe, in effetti, ipotizzare almeno un nuovo assunto.

Ferie residue, come sfruttarle?

Sono tantissimi dubbi che possono assalire una persona che decide di licenziarsi per andare in pensione. Probabilmente un dubbio è tanto importante quanto sapere l’importo dell’assegno al quale si ha diritto una volta lasciato il posto di lavoro. E la domanda riguarda le ferie. Ovvero: posso sfruttare le ferie residue che sono segnate sull’ultima busta paga durante il periodo di preavviso? E cioè dopo aver comunicato la decisione di lasciare la scrivania e prima di lasciarmi alle spalle per l’ultima volta l’ingresso dell’ufficio o della fabbrica?

È una domanda importantissima anche perché proprio sulle ferie si gioca una buona parte della trattativa che inevitabilmente si apre con il datore di lavoro dopo aver deciso di andarsene.

Le trattative

È vero, infatti, che il tutto è regolato dalla legge, ma ci sono, come sempre, spazi di discussione. Questi spazi permettono di riuscire ad ottenere le condizioni migliori prima di andarsene. Ad esempio il pagamento del Tfr: in un’unica soluzione oppure a rate magari spalmata in diversi mesi se non, addirittura, anni? Non sono rari i casi in cui una persona che ha lasciato il lavoro si trova a dover aspettare molto tempo prima di incassare tutto quanto gli spetta.

E, oltre al Tfr, tra i possibili punti di trattativa ci sono anche le ferie pregresse. Quelle che non si sono sfruttate durante il periodo di lavoro. Vediamo perché.

Che cosa dice la legge

Partiamo dalla legge. L’articolo del codice civile che regola la materia è il 2118 che, tra le altre cose, stabilisce che prima di lasciare il posto di lavoro, il dipendente deve dare un preavviso. Sempre? No. Il preavviso non è dovuto in caso di licenziamento per giusta causa. O al termine del periodo di prova o alla fine di un contratto a termine. Oppure in caso di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro o anche per la mancata presa del servizio dopo una sentenza che impone all’azienda di reintegrare il dipendente. Il preavviso non è dovuto nemmeno quando un lavoratore o una lavoratrice si dimettono all’interno del periodo durante il quale è previsto il divieto di licenziamento. È il caso, per esempio, del periodo di maternità che, in questo caso, dura dall’inizio della gravidanza fino a 1 anno di età del bambino.

Il periodo di preavviso

Al di là di questi casi particolari, soprattutto se il lavoro è a tempo indeterminato, il periodo di preavviso è stabilito dal contratto di lavoro della categoria alla quale si appartiene. Ma non sempre. Nel senso che l’articolo 2119 del codice civile afferma che il preavviso è stabilito anche “dagli usi o secondo equità”. Questo significa che il dipendente che ha deciso di andare in pensione può (magari con l’assistenza del sindacato) ottenere condizioni migliori di quello che prevede il contratto.

Ad esempio: un preavviso più breve o, appunto, l’uso delle ferie residue. Le quali, è importante sottolineare, non si maturano durante il periodo di preavviso. Significa che se si è concordato (o il contratto di categoria prevede) due mesi di preavviso, durante quei due mesi non si matura nemmeno un’ora di ferie. Ma si possono usare quelle residue? In linea generale, e con riferimento a contratti di lavoro tra privati, la risposta è no. In genere, infatti, i contratti collettivi di lavoro, non lo permettono.

Ferie non godute, tra legge e trattative

Quindi si perdono? Da un punto di vista puramente teorico sì. Non si possono usare dopo che si è comunicato al datore di lavoro la decisione di andare in pensione. Per fortuna viene in aiuto la legge che permette una libera trattativa tra le parti. Per non vedere andare in fumo magari intere settimane di riposi non goduti.

Un’alternativa alla trattativa, alla quale è consigliabile andare con un esperto sindacalista o con un proprio consulente del lavoro, consiste nell’usufruire delle ferie maturate prima di comunicare all’azienda la propria volontà. Magari prendendosi delle vacanze fuori stagione. Perché il rischio qual è? È che la trattativa con l’azienda non vada a finire come il dipendente si aspetta. E, cioè, che il datore di lavoro, seguendo la lettera della legge (sempre l’articolo 2119) non conceda in nessun caso né di usufruire dei riposi maturati né di monetizzarli.

Sì, perché il dipendente ha comunque la facoltà di chiedere di essere “rimborsato” di quei giorni, che andrebbero altrimenti persi, sotto forma di danaro in busta paga. Il dipendente può chiederlo. Ma il direttore del personale, la figura che all’interno delle società private, si occupa di trattative di questo genere, non è affatto obbligato a concederlo. Se dicesse di sì, ovviamente, il rimborso delle ferie non godute andrebbe ad integrarsi con il Tfr e le altre competenze spettanti sulle quali la legge è, invece, molto rigida.

Attenzione

Ogni tipo di accordo diverso da quanto prevede il contratto collettivo di lavoro, al quale comunque bisogna attenersi, è bene venga scritto nero su bianco con le firme in calce sia del lavoratore che della controparte. Visto che si tratta di qualcosa di diverso dallo standard, non si sa mai.

Marco Cobianchi

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Marco Cobianchi
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