Parto naturale: il “percorso” di mamma e bambino verso la nascita
Un evento unico al mondo ma segnato anche dal dolore. Vediamo cos'è e come avviene il parto naturale
Parto naturale: dolore e gioia
Il momento del parto è, non c’è nemmeno bisogno di dirlo, un momento decisivo e complesso nella vita di una mamma, desiderato e temuto nello stesso tempo, gioia incommensurabile e altrettanto incommensurabile dolore, seppur passeggero. Cosa significhi dare la vita ad una creatura umana e farlo attraverso i dolori che il parto porta con sé è un tema assai affascinante, da sempre al centro della filosofia, della religione ed in generale, della storia del pensiero umano. Perché una grande gioia sia accompagnata ad un grande dolore è in effetti un tema che tocca profondamente il cuore. Iniziamo da qui non per “alzare” il tiro del nostro tema che di seguito affrontiamo, ma perché è necessario tenere presente il “livello” della questione per affrontarla nel modo giusto. Perché del parto naturale, nelle diverse sfaccettature in cui si intende questa espressione, non si può trattare “solo” in termini medici o men che meno tecnici, ma racchiude in sé tutta la vertigine che una donna sente per il fatto di diventare madre ed il desiderio che questo momento sia il “migliore” possibile per lei e per il nascituro. Questo desiderio è quello che sta realmente dietro alla scelta di un parto naturale. Ma occorre fare chiarezza su cosa si intende con questa definizione.
Il parto naturale: cos’è?
Appare subito necessario capire bene di cosa stiamo parlando quando usiamo il termine “parto naturale” che è comune a diversi contesti e richiamato con sfumature diverse. Innanzi tutto il “parto naturale” è la modalità con cui, nelle diverse fasi che conosce durante il suo svolgimento, avviene l’”evento-nascita”: in questo senso si tratta del modo in cui dalla notte dei tempi tutte le donne hanno partorito, con l’ausilio dei “sollievi” di cui disponevano nel contesto storico, culturale e sociale in cui vivevano. E’ stato l’avanzare della tecnica medica e della conoscenza scientifica ad affiancare a questa forma “connaturata” di partorire, altre possibilità sia di “supporti medicinali” – come ad esempio i metodi anestetici per la limitazione del dolore – o addirittura chirurgici, come il parto cesareo. Nel tempo quindi il concetto di parto naturale si è arricchito del significato che lo contrappone a questi altri metodi, richiamando così al suo “corso originario”, così come previsto dalla natura. Accanto ad esso si sono così sviluppati varie altre accezioni di intenderlo: il parto “pscicoprofilattico”, per esempio, è sostanzialmente un metodo medico-psicologico che punta essenzialmente sulla preparazione “mentale” ed emotiva della partoriente al momento del parto in modo da limitare la paura, migliorare la percezione del dolore ed arrivare ad un parto “positivo”, seppur sempre sotto il monitoraggio dei medici.
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Parto naturale: in casa e in acqua
Fa parte del concetto di parto naturale anche l’utilizzo di altre tecniche consolidate come il parto in acqua, praticato anche in numerose strutture cliniche italiane, mentre in accezioni più “estreme” la contrapposizione con i metodi “non-naturali” arriva fino ad un categorico rifiuto di qualunque intervento medico o chimico per tornare il più possibile alla forma “originaria” del parto, arrivando anche a scegliere di partorire in casa.
[dup_immagine align=”aligncenter” id=”15447″]Le “fasi” del parto naturale: la fase prodromica
[dup_immagine align=”alignleft” id=”15638″]Ecco dunque che la “lettura” del concetto di parto naturale può essere vista da diverse angolazioni diverse e con diverse logiche. Fermo restando il fatto che nella nostra società attuale qualunque sia la scelta rispetto alle “modalità” del parto questa deve necessariamente essere fatta con l’ausilio, il conforto tecnico e sotto la costante direzione di uno specialista medico, un parto è naturale quando segue le “classiche” fasi in cui è normalmente composto e durante le quali l’ausilio di medicinali di vario genere può essere più o meno rilevante a seconda della situazione e dei desideri della mamma (e della coppia, in genere). La prima fase è detta prodromica ed è quella nella quale, con intensità crescente, inizia il “travaglio“, ovvero quell’insieme di accadimenti, chimici, ormonali e fisici, che portano poi alla “espulsione” del feto. Le contrazioni cominciano a farsi sentire anche se in maniera irregolare e con diversa intensità. Si tratta della fase più “impronosticabile” di tutto il processo, sia dal punto di vista del suo inizio sia dal punto di vista della sua durata. La data presunta del parto è infatti sempre indicativa e in effetti è considerato clinicamente “normale” che il travaglio inizi da quindici giorni prima a dieci dopo tale data, senza particolari avvisaglie e complicazioni; inoltre, una volta iniziata, questa fase “introduttiva” segue un corso che è assolutamente particolare da donna a donna, anzi, si potrebbe dire da parto a parto anche nei casi delle pluripartorienti. In genere, la fase prodromica si chiude con l’espulsione del “tappo mucoso“, ovvero di quella “parete” di muco che sigilla la cavità uterina e la cui perdita costituisce il punto di partenza per l’inizio del vero e proprio processo di dilatazione.La fase dilatativa e quella espulsiva
La fase dilatativa è quella nella quale le contrazioni acquistano una maggiore regolarità, durata ed intensità in modo generalmente progressivo. La contrazione è un semplice fenomeno “dinamico” dei muscoli della parete uterina che muovendosi dall’alto verso il basso porta alla dilatazione della cervice uterina fino alla misura completa che in genere è dieci centimetri, ma può anche raggiungere dilatazioni superiori in alcuni casi. La dilatazione completa segna l’ingresso nella fase successiva di “espulsione” del feto ed in genere si accompagna alla lacerazione del sacco amniotico – la cosiddetta “rottura delle acque” – che però può anche avvenire abbastanza comunemente in un momento diverso del processo, sia antecedente che successivo. La durata della dilatazione è anche in questo caso difficilmente prevedibile e piuttosto variabile da caso a caso: è generalmente vero il fatto che in una “prima gravidanza” il tempo di dilatazione sia più lungo rispetto a quello di una puerpera che abbia già precedentemente partorito, ma tale regola non è certo rigorosa e conosce, anzi, una notevole variabilità. La fase espulsiva è naturalmente quella più “delicata” di tutto il processo e può durare da pochi minuti a circa un’ora: in essa sono compresi tutti i movimenti muscolari che devono portare il bambino a “scivolare” lungo il “canale del parto” e a venire finalmente alla luce. Il meccanismo di contrazione, che è diverso da quello della fase precedente, è favorito dall’ossitocina, un ormone naturale prodotto dall’ipofisi e che controlla lo “stato” dell’utero durante tutta la gravidanza e nei momenti del parto in particolare. Risulta evidente come qui la sorveglianza e la competenza di ostetrica e medici sia assolutamente decisiva: il medico, a volte, pratica in questa fase una “episiotomia“, ovvero una incisione della parete vaginale per agevolare l’espulsione ed evitare lacerazioni muscolari.
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Il secondamento e la fase post-partum
Quando il bambino è nato, l’utero attraverso delle “contro-contrazioni” tende a tornare al suo stato “normale”. Questa fase finale è detta “secondamento”, normalmente dura da cinque minuti a mezz’ora ed in essa avviene anche il distacco della placenta. A questo punto ostetrica e ginecologo procederanno ad una serie di operazioni per “chiudere” il parto: verificheranno che non siano rimasti frammenti di placenta nel cavo dell’utero e controlleranno l’emostasi, ovvero la naturale fuoriuscita di sangue. Terranno quindi sotto osservazione la madre per le due ore successive, trascorse le quali senza ulteriori incidenti, considereranno il parto chiuso.
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L’intervento medico nel parto
Se questa è la “procedura naturale” lungo la quale l’evento-parto si sviluppa, gli interventi dei medici e dell’ostetrica possono agevolare quanto naturalmente deve accadere anche attraverso dei farmaci. Dal punto di vista medico, oltre ad utilizzare sostanze a supporto nelle diverse fasi, come ad esempio una somministrazione di ossitocina che può favorire le contrazioni sia dilatative che di secondamento, gli interventi possono essere indirizzati al controllo del dolore: il più comune è senza dubbio l’”analgesia epidurale”, una sorta di anestesia locale in grado di ridurre significativamente il dolore associato al parto.
Il cesareo
Ovviamente, l’intervento medico più drastico è quello in cui il parto è effettuato chirurgicamente ed è quindi “casareo“, così chiamato perché storicamente associato al modo con cui nacque Giulio Cesare, cosa che è però del tutto leggendaria. Si tratta naturalmente di una eventualità scelta dal medico in caso di complicazioni o rischi gravi per la salute di mamma e/o bambino, oppure “d’urgenza” in caso di difficoltà durante il parto naturale o di sofferenze riscontrate per il feto attraverso il suo costante monitoraggio, elemento essenziale di tutto il processo.