Lo hanno chiamato, con un pizzico di teatralità, “effetto Jolie”, ma la tendenza segnalata dall’AICPE, l’Associazione Italiana Chirurgia Plastica Estetica, merita sicuramente attenzione ed una analisi attenta, perché rischia di “banalizzare” una scelta di intervento che banale non è e che va invece ponderata con estrema cautela e seguendo scrupolosamente le indicazione di uno specialista. Il fatto accaduto e segnalato dall’Associazione consiste nella crescita esponenziale del numero delle donne che, sull’onda mediatica e sulla risonanza che ha avuto il doppio intervento di mastectomia subito a scopi preventivi da Angelina Jolie nello scorso mese di marzo, chiedono informazioni su tale operazione, che tecnicamente si chiama adenectomia della ghiandola mammaria a causa di cancerofobia, ovvero per prevenzione, ma è più corretto tradurre “paura” del cancro.
[dup_immagine align=”alignleft” id=”25132″]E’ stato Giovanni Botti, presidente di AICPE, a farsi portavoce della segnalazione, evidentemente allarmato dal fenomeno rilevato nelle ultime settimane dai membri della sua associazione, che seppur di recente costituzione nel nostro paese, ne ricalca di analoghe da tempo diffuse all’estero e raccoglie già oltre 170 aderenti, fra chirurghi anche di provata fama e docenti universitari esperti del settore. Una associazione nata soprattutto per tutelare i pazienti attraverso la condivisione fra tutti gli iscritti di un codice etico particolarmente importante in un settore così delicato dove la “necessità” di un intervento ha spesso una sottile linea di demarcazione con aspetti psicologici e umani assai difficili da catalogare in protocolli e procedure. L’associazione, per inciso, è volta anche a favorire la ricerca e l’aggiornamento professionale dei chirurghi e degli operatori del settore, oltre che di tutelare in tutte le sedi istituzionali e private la categoria. Ecco perché è del tutto naturale il fatto che l’AICPE abbia inteso segnalare questa “corsa” alla mastectomia preventiva molto mediatica e poco scientifica.
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In effetti, sono molto pochi i casi in cui tali interventi sono effettivamente da prendere in considerazione, sia dal punto di vista della “pesantezza” dello stesso, sia da quello della effettiva efficacia sulla prevenzione dei tumori. E’ assolutamente sconsigliabile approcciare ad esso senza partire da questo ristretto novero di cause specifiche e se non dietro la precisa indicazione di un senologo o di un oncologo. C’è poi anche da dire che anche sotto il profilo estetico il risultato non è certo assicurato al 100%. L’asportazione della ghiandola mammaria – prosegue il Dott. Botti – non può che comportare un “riempimento” della sede della stessa per mezzo di una protesi. Se nei primi mesi dopo l’intervento l’effetto “visivo” è generalmente soddisfacente, con il passare del tempo ed il progressivo scomparire del gonfiore post-operatorio, il volume del seno rimane assicurato dalla sola protesi che in frequenti casi diventa “evidente”, essendo “coperta” solo dal sottile muscolo pettorale, rivelandone irregolarità, asimmetrie o semplicemente deperimento, con effetti estetici del tutto discutibili e che, oltretutto, richiedono successivi interventi di “manutenzione”. Per questo, occorre ribadire chiaramente che la comunità scientifica è tutt’altro che compatta nel consigliare questi tipi di interventi: anzi, in linea generale, la maggior parte degli operatori del settore li prendono in considerazione solo in casi realmente gravi e specifici, indicando per tutti gli altri metodi preventivi del tumore molto meno invasivi e che, se correttamente applicati, hanno in molti casi ottimi risultati.
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