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Stalking e terrore in Go with me, recensione del thriller con Anthony Hopkins e Ray Liotta

Ormai non c’è romanzo di successo di cui non si tenti di realizzare un adattamento cinematografico. L’ultimo in ordine di tempo ad essere tratto da un best seller letterario è il film omonimo Go with me, thriller diretto da Daniel Alfredson e ambientato in un tenebroso Canada tra boschi e nebbie inquietanti.

Il film, ispirato al romanzo di Castle Freeman Jr., racconta la storia di Lillian, una giovane donna che ha lasciato Seattle per tornare nella sua città natale in Canada, una non meglio precisata una comunità di taglialegna ai limiti della foresta: rimasta sola dopo la morte della madre, subisce le molestie di Blackway, un ex vicesceriffo diventato un potente criminale che fa affari illeciti e spadroneggia in città terrorizzando chiunque si metta sulla sua strada.

Un film ambientato in un non-luogo e in un non-tempo (tutta l’azione sembra svolgersi nell’arco di appena 24 ore) che si trasforma in una caccia all’uomo per affermare la libertà di una donna e di una comunità: quando Lillian decide di affrontare Blackway di persona, trova inaspettatamente aiuto nel coraggioso ex taglialegna Lester, che ha un conto in sospeso con l’uomo legato al suo passato, e nel suo giovane assistente Nate, gli unici due uomini disposti a sostenere la folle idea di Lilian di affrontare vis-à-vis il temibile nemico pubblico dopo che anche lo sceriffo della città le ha consigliato di andarsene. Parte così un viaggio tra loschi criminali che culminerà in un confronto armato tra buoni e cattivi. Quasi surreale nelle premesse (la sete di giustizia di una giovane donna che ingaggia una battaglia personale apparentemente persa in partenza), il film parte dal presupposto che «quando la legge non può nulla devi farti giustizia da solo». Assunto alquanto discutibile, che campeggia sulla locandina ufficiale.


[dup_immagine align=”alignleft” id=”219151″]Nel complesso Go with me è la dimostrazione che un cast di tutto rispetto non basta a fare di una pellicola un evento memorabile: Anthony Hopkins è la vera anima del film nei panni di Lester, accanto alla protagonista Julia Stiles e al cattivissimo Ray Liotta. «Un viaggio nell’oscurità», lo ha descritto il regista, che tuttavia pecca dal punto di vista della sceneggiatura perché manca una necessaria capacità di tratteggiare a fondo i personaggi: la conoscenza che lo spettatore arriva ad avere di ognuno di loro è troppo superficiale per poter giustificare le loro azioni. Tutto ciò è all’origine della costante sensazione per lo spettatore dell’imminente scoperta di qualcosa in più su di loro, sul loro passato, sul loro presente: scoperta che però non arriva mai, né prima né dopo lo scontro finale. Per il regista che ha diretto gli ultimi due capitoli della Trilogia Millennium c’è sicuramente la volontà di mescolare i generi con un thriller che strizza l’occhio al western, ma il film non risulta ascrivibile pienamente né all’uno né all’altro registro.

Presentato in anteprima al Festival del cinema di Venezia, il film è nelle sale italiane dal 13 ottobre, distribuito da Microcinema e presentato in collaborazione con Minerva Pictures.

Claudia Gagliardi

Lavoro con le parole, soprattutto quelle scritte, sin da quando ho scelto di studiare Comunicazione all’università. Adoro le storie, pensate, raccontate, messe in scena, soprattutto quando attingono da elementi di realtà. Attualmente sono impiegata presso la testata OptiMagazine.com, per cui gestisco il canale Serie Tv e curo la rubrica Serial Stalkers dedicata all’universo delle serie televisive, amministrando anche l'omonima pagina Facebook. Per hobby sono admin della community (Facebook, Twitter, Instagram) Maratoneti di Mentana.

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