Spesso l’aggettivo “storico” è usato ed abusato, e per questo richiede che chi lo utilizza lo faccia con circospezione, quasi in punta di piedi. Difficile dire ora se quanto successo domenica 8 giugno 2014 in una Città del Vaticano sempre più intrisa della personalità di Papa Francesco, si rivelerà veramente un avvenimento capace di meritarsi l’appellativo di “storico”. Una cosa però è certa: quello che non era riuscito in anni di negoziati, tentativi, interventi diplomatici e minacce, è riuscito in un assolato pomeriggio di giugno grazie al coraggio di Francesco e a quello, non meno rilevante, di chi ha accettato il suo anticonvenzionale invito.
E così, dopo un periodo di buio assoluto sia a livello di rapporti diplomatici sia di passi avanti verso la pace di Israele e Palestina – un periodo che il pontefice aveva già interrotto con la sua visita apostolica in Terra Santa lo scorso mese di maggio – il presidente dello Stato ebraico d’Israele Shimon Perez e quello dell’Autorità nazionale palestinese Abu Mazen si sono ritrovati insieme per chiedere ed invocare, ciascuno secondo la propria religione, il dono della pace e della fratellanza per la Terra delle Grandi Religioni, da anni martoriata da divisioni e guerre. Alla presenza non solo del Papa, ma anche del patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I e del Custode di Terra Santa Padre Pizzaballa.
I due presidenti hanno pregato ognuno di fianco all’altro: certo, non è stato né un incontro formale, né tanto meno un negoziato politico. Ma forse proprio per questo è stato qualcosa di più. Probabilmente sono le parole di Francesco quelle che fissano con più lucidità e chiarezza il significato di questo gesto: il papa afferma che il mondo non è solamente l’eredità dei nostri antenati e padri, ma anche un prestito dei nostri figli, i quali sono provati e sfiniti per le guerre e le lotte, e desiderano vedere sorgere l’alba della pace; è per questi stessi figli che dobbiamo intraprendere il dialogo e frantumare i muri dell’odio, per far trionfare l’amore e l’amicizia.
E affidiamo anche noi questo auspicio al futuro: “Per fare la pace ci vuole coraggio, molto di più che per fare la guerra“.
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