Molestie sessuali sul lavoro: perché denunciarle

Grazie alla nuova ondata di movimenti femministi il clima è decisamente cambiato e le molestie sessuali sul lavoro non sono più un argomento tabù.

04/12/2018

Nell’ultimo anno il vaso di Pandora è stato aperto rendendo finalmente al centro del dibattito pubblico il tema delle molestie sessuali sul lavoro: aggressioni fisiche o verbali, vessazioni, atti di mobbing e violenze sessuali vere e proprie non riguardano certo soltanto le donne, ma è indubbio che la sproporzione delle statistiche spinga a considerarlo un fenomeno che rientra nel più ampio quadro della mancanza di parità di genere negli ambienti professionali (oltre che in quelli familiari, ma questo è un altro paio di maniche).

A portare con prepotenza nella discussione mediatica il tema delle molestie sessuali sul lavoro è stato il caso Weinstein, con le denunce di diverse attrici al New Yorker tra cui quella della nostra Asia Argento, è partita un’inchiesta che ha messo sul banco degli imputati il celebre produttore americano della Miramax per una serie di reati commessi contro circa 300 donne con le quali a vario titolo entrato in contatto per ragioni professionali nel corso della sua lunga carriera.

Weinstein è finito in manette in attesa di un lungo processo, ma la sua vicenda personale per lo più nota negli ambienti hollywoodiani e mai portata all’attenzione dei media prima dell’inchiesta di Ronan Farrow, è stata solo la goccia che ha fatto traboccare un vaso stracolmo di esperienze di violenze subite nel mondo del cinema, dell’intrattenimento e dello spettacolo da parte di centinaia di artiste che hanno trovato la forza di raccontare episodi fino ad allora taciuti in un clima generale di omertà.


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Nonostante qualcuno abbia parlato di caccia alle streghe, la nascita del movimento #metoo con l’hashtag che ha spinto tante donne a raccontare le proprie esperienze in materia di molestie sessuali sul lavoro è servito a trasmettere l’idea che un comportamento molesto non sia più socialmente e moralmente accettabile ed è questo il vero scatto rivoluzionario che #metoo è stato in grado di imprimere nell’evoluzione del rapporto uomo-donna e i cui effetti probabilmente saranno evidenti su larga scala solo tra qualche decennio.

Perché se prima era considerato normale doversi difendere da una molestia sessuale senza avere il potere e la forza di denunciarla, ora è chiaro invece l’esatto contrario, cioè che gli atti molesti non sono un incidente di percorso, un prezzo da pagare per mantenere il proprio lavoro, una spiacevole costrizione accettata passivamente come inevitabile. Sono piuttosto dei reati e in quanto tali possono e devono essere denunciati, ai propri superiori o all’autorità giudiziaria.

Se #metoo sarà servito ad inibire anche solo in parte i comportamenti allusivi, invasivi o apertamente molesti degli uomini nei confronti delle donne nei luoghi di lavoro avrà innescato un processo di cambiamento decisivo per l’affermazione della parità di genere tra uomo e donna.

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Ma aldilà del dibattito pubblico – che ha avuto il merito per la prima volta di dar voce ad episodi della vita delle persone comuni e dunque non soltanto delle dive del cinema o alle star della discografia (da Angelina Jolie a Lady Gaga) – è importante che ciò si traduca in una piena consapevolezza da parte delle donne di dover denunciare le molestie sessuali sul lavoro superando la paura di non essere credute o di essere ulteriormente vessate con la perdita del posto di lavoro.

Ad oggi la denuncia, presentata al proprio datore di lavoro (quando non si tratti del molestatore stesso) che è tenuto per legge a salvaguardare l’incolumità dei dipendenti o alle autorità, è l’unico modo per garantire l’affermazione dei propri diritti di fronte ad un abuso: in Italia le molestie sessuali sono considerate un atto discriminatorio e dunque punibile sia dal Codice Civile che dal Codice Penale.

Per lo stupro vero e proprio la pena prevede la reclusione da 5 a 10 anni mentre per le molestie è previsto l’arresto fino a sei mesi o un’ammenda. E poiché sul luogo di lavoro la molestia si configura molto spesso come atto pratico di un abuso di potere da parte di una persona in un posizione gerarchicamente superiore rispetto ad un suo sottoposto, questa costituisce un’aggravante.


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L’Istat stima che in Italia siano oltre 1 milione 400mila le donne che hanno subito molestie fisiche o ricatti sessuali sul posto di lavoro da parte di colleghi o superiori, gesti che vanno dagli apprezzamenti indesiderati alle violenze vere e proprie, cui non sempre è facile reagire in un ambiente in cui la componente maschile risulta quasi sempre in maggioranza.

Il primo passo per farlo è provare a manifestare chiaramente e pubblicamente, anche mettendo in imbarazzo il molestatore di fronte ad altri, che il suo comportamento è indesiderato e inaccettabile. Ma soprattutto è necessario parlarne e chiedere aiuto, ai colleghi di lavoro, ai familiari, agli amici.

E se necessario raccogliere prove delle molestie subite da presentare o ai responsabili delle risorse umane, qualora vi siano, o al Comitato unico di garanzia presente nelle pubbliche amministrazioni.

E infine rivolgersi ad un avvocato procedendo per vie legali con una formale denuncia all’autorità di pubblica sicurezza, resta l’unica strada da perseguire.