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Lo stupro sotto effetto di alcolici è meno grave?

Due conoscenti ti invitano a casa loro. Tu accetti, desiderosa di passare una serata di chiacchere e leggerezza. Perché no, ti offrono anche un bicchiere di vino, acconsenti volentieri, ritenendolo un buon modo per sciogliere le tensioni accumulate in settimana.

In breve tempo fai cadere le difese e, sentendoti a tuo agio, decidi di bere qualche bicchiere in più. Tra risate, confidenze e buon vino, la serata procede a gonfie vele, finché capisci che qualcosa non va, la stanza gira, mentre musica e voci si fanno lentamente più lontane: sei ubriaca.

Niente male –pensi – nel mondo in cui sono abituata a vivere se una persona alza un po’ troppo il gomito, gli amici l’accompagnano a casa, o, al limite, le viene offerto un letto dove riposarsi e smaltire gli eccessi della serata.

Ingenua. Tra pochi attimi la realtà si mostrerà per quello che è, squarciando il cielo di quel mondo ideale che hai sempre ritenuto vero e in cui hai sempre creduto. È così, la realtà: arrogante, non chiede il permesso, colpisce all’improvviso, come un gancio al mento, anzi, come quattro braccia possenti che stringono le tue, esili, e ti scaraventano sul letto. Gli amici… nel momento del bisogno… una barzelletta quasi, un lontano ricordo. Sei stata stuprata.

Questa è la breve storia di una serata qualsiasi trasformatasi in dramma, molto simile a quella che ha dovuto passare la donna protagonista dell’odissea giudiziaria che ci apprestiamo a descrivere.

Il fatto risale al 2011, gli imputati sono due uomini di 50 anni, che, dopo esser stati assolti in primo grado dal GIP di Brescia, nel 2017, a 6 anni di distanza, sono stati dichiarati colpevoli di stupro di gruppo, con l’aggravante di “aver commesso il fatto con l’uso di sostanze alcoliche”.

Proprio quest’ultimo punto è stato oggetto di contesa tra gli organismi giudiziari, e la Corte Suprema di Cassazione ha recentemente stabilito che “l’assunzione volontaria di alcol esclude la sussistenza dell’aggravante”, e il relativo aumento di pena, poiché “deve essere il soggetto attivo del reato” ad usare l’alcol per la violenza “somministrandolo alla vittima”.

In poche parole: se la vittima ha assunto volontariamente l’alcol fino ad ubriacarsi, la pena di chi ha commesso l’abuso non viene appesantita dall’aggravante di aver agito ricorrendo a sostanze alcoliche, aggravante che viene applicata dunque solo nel caso in cui il soggetto attivo dello stupro abbia costretto la vittima contro sua volontà ad assumere droghe o alcol.

Grazie a questa sentenza i due uomini possono così chiedere che sia rivista la loro condanna e ottenere una diminuzione della pena.

Il fatto ha creato grande clamore nell’opinione pubblica, data anche l’autorevolezza dell’istituzione che ha emesso la sentenza. L’obiezione più comune contesta a questa sentenza di concentrarsi sull’atto di somministrazione, facendo passare in secondo piano l’altrettanto grave sfruttamento della situazione favorevole, cioè dello stato di alterazione della vittima.

La penalista Francesca Longhi ha detto al Corriere della Sera che la sentenza “è giuridicamente corretta”.

“Sarebbe stato scandaloso – ha aggiunto – se i supremi giudici avessero teorizzato che lo stupro non c’era perché la vittima si era ubriacata. Nessuno ha detto: è colpa tua perché hai bevuto. La violenza sessuale è stata ritenuta sussistente. Ma l’aggravante dell’alcol non è imputabile a chi ha commesso il reato, perché si applica nei casi in cui la vittima viene fatta ubriacare, per esempio, con la benzodiazepina, la polverina dello stupro”.

L’aggravante dunque c’è se lo stupratore ha creato la situazione ad hoc per commettere il reato, eventualità che in questo caso non pare sussistere.

È un punto che può essere rivalutato in Corte d’Appello, per capire se qualcuno abbia fatto bere la vittima e perché. “Tu puoi bere senza rendertene conto – spiega l’avvocatessa Caterina Malavenda – se c’è qualcuno che ti riempie continuamente il bicchiere. Ma perché lo sta facendo?”.

Non si tratta più di una questione di diritto, bensì di far chiarezza sui fatti, per far luce sulla presenza di un’eventuale premeditazione.

Redazione UnaDonna

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