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La “Ragazza Afghana”: storia di un’icona del XX secolo

La vita di Steve McCurry – e forse, per molti, la stessa “essenza” della professione di foto-reporter – cambiò nel 1984. McCurry, protagonista in questi mesi di una grande mostra presso la Villa Reale di Monza – era nato 34 anni prima in un sobborgo di Philadelphia ed aveva presto seguito il suo amore per la fotografia e per le periferie del mondo diventando freelance ed iniziando un lavoro da reporter di frontiera, spingendosi nelle zone più remote e martoriate del pianeta e, semplicemente, testimoniando. Non con la freddezza della lente della sua macchina, ma con “…la voglia di trasmettere il senso viscerale della bellezza e della meraviglia che trovavo di fronte a me, durante i miei viaggi, quando la sorpresa dell’essere estraneo si mescolava alla gioia della familiarità”. Il viaggio che gli cambiò la vita fu un reportage per il National Geographic Magazine in cui attraversò il confine fra Pakistan ed Afghanistan vestito con abiti tradizionali e nascondendo i rullini con i suoi scatti cuciti nei vestiti. Fu allora che attraversò un campo profughi vicino a Peshawar. E fu lì che incontrò una ragazza, orfana dei genitori uccisi durante un’incursione dei soldati sovietici, che era fuggita con la nonna e i fratelli. Fu colpito dai suoi occhi. Le scattò una foto.

Un’immagine diventata icona

Gli straordinari occhi verde ghiaccio di quella ragazza ed il suo sguardo fiero già segnato dal dolore, dalla paura, dalla rabbia e dalla voglia di riscatto ma incredibilmente dignitoso e vivo, divennero l’immagine scelta per la copertina del numero di giugno 1985 della rivista National Geographic e resero McCurry uno dei più celebri e celebrati reporter del mondo, schiudendogli di fatto la porta del successo. Quello straordinario scatto fu giudicato dal magazine americano come la più bella foto mai pubblicata nei suoi cento anni di vita e divenne un simbolo vero e proprio della speranza contro la guerra e l’oppressione, tanto da fare il giro del mondo e da diventare per tutti The Afghan girl, La Ragazza Afghana. Il tutto mentre lei, la protagonista, che non aveva mai visto prima una camera e che si era fatta fotografare da quello strano sconosciuto dopo parecchie insistenze, non sapeva nulla di quanto stava accadendo e di quanto la sua immagine fosse divenuta popolare.

Un’attesa lunga 17 anni

A quel tempo aveva 12 anni, lo si saprà solo 17 anni dopo. Fu nel gennaio 2002 che il desiderio di McCurry di ritrovarla spinse il National Geographic ad organizzare una spedizione in Afghanistan per cercare la “ragazza dagli occhi verdi”, un viaggio che si trasformò in un suggestivo documentario Search for The Afghan Girl. Non fu un’ impresa facile: molte furono le donne che si auto-identificarono con la foto del 1984 e per questo si scelse di utilizzare la tecnica della ricognizione dell’iride. Ma alla fine McCurry conobbe Sharbat Gula, ormai trentenne e madre di tre figlie, che viveva in un villaggio di montagna nei pressi di Tora Bora. Il suo volto era segnato dal tempo e dalla durezza della vita, ma conservava la medesima ed incrollabile dignità ed una bellezza quasi trasfigurata. Quando il celebre reporter la incontrò, le spiegò che la sua immagine era diventata famosa, ma la cosa non sembrò interessare molto a Sharbat. Rimase invece molto più colpita nel venire a conoscenza di essere diventata simbolo della speranza e della fierezza del suo popolo. Allora accettò di farsi fotografare di nuovo.  “La sua pelle è segnata, ora ci sono le rughe, ma lei è esattamente così straordinaria come lo era tanti anni fa” fu il commento di McCurry. I due sono rimasti da allora in continuo contatto.

Anna Invernizzi

Classe 1972, cinque figli e una vita intensa. Laureata in Economia, impiegata, scrivo per passione su tutto quello che mi interessa. In particolare creo contenuti a tema cucina e lifestyle.

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Anna Invernizzi

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