Expo 2015: le attese economiche e le analogie con Shanghai 2010

Ma all fine, tutto questo affannarsi sarà utile? Ecco la grande domanda che aleggia sull'organizzazione di Expo 2015. Cerchiamo di dare qualche risposta. Partendo dall'esperienza di Shanghai..

04/08/2014

L’effetto dell’organizzazione di un grande evento – sportivo, economico, culturale, da parte di un paese, di una città o di una definita zona geografica, è uno dei temi più dibattuti e controversi che gli economisti di ogni angolo della terra si trovano ad affrontare. Non mancano le teorie, spesso dall’esito diametralmente opposto che si misurano su questo tema: c’è chi definisce tale eventi delle “bolle di sapone” dalle enormi spese e dai ritorni incerti, oltretutto minati dal rischio di sconfinare facilmente nell’illegalità, c’è chi convintamente li considera un volano per l’economia che va ben oltre i numeri, le entrate e le uscite generate direttamente dall’evento stesso. C’è infine chi si mantiene ad una prudente equidistanza dalle due posizioni, evitando così di sbilanciarsi.


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Una domanda da cento milioni di dollari (anzi, miliardi di euro…)

E, va detto, ciascuna delle posizioni di cui sopra è in grado di portare casi esemplari a proprio favore nella vasta letteratura sul tema che è stata scritta negli ultimi 50 anni. Va detto, non credo sia particolarmente difficile da immaginare, che valutare effettivamente l’impatto economico di un evento come quello di Expo 2015 è quanto di più complesso da effettuare, non fosse altre per il fatto che molte delle implicazioni che comporta in termini di “generazione” di valore, di produzione, di immagine e di mood internazionale è valutabile solo dopo il trascorrere di diverso tempo. Se infatti ne esiste una “misura” del successo legata a presenze, interesse, costi e ricavi “propri” dell’evento stesso, il grosso dei suoi ritorni è apprezzabile solo nel lungo periodo, sia nel bene che nel male. Cosa aspettarsi “veramente”, dunque, al di là di posizioni ideologicamente contro o a favore di Expo 2015 e al di là degli scandali, spesso scoraggianti, che ne segnano il percorso di avvicinamento? Per rispondere ad una domanda del genere ci sono sostanzialmente tre vie: la prima è quella della sfera di cristallo, e tendiamo ad escluderla a priori come poco seria, anche se resta il dubbio che in passato sia stata spesso utilizzata a piene mani. La seconda è nel vedere cosa si aspettava l’Italia nel presentare la propria candidatura per l’organizzazione dell’evento e la terza, forse quella più pragmatica, di andare a vedere cosa è successo cinque anni fa in Cina, a Shanghai, sede dell’ultima Esposizione Universale. Vi accorgerete che nessuna delle tre “strade” darà una risposta esauriente, ma magari sarà un esercizio utile per farsi un’idea…


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Shanghai 2010

[dup_immagine align=”alignright” id=”128300″]Come quello che ci apprestiamo a vivere fra qualche mese, anche l’Expo di Shanghai del 2010 si aprì il 1° maggio per chiudersi il 31 ottobre, secondo i dettami del Bureau International des Expositions. L’area espositiva copriva una enorme superficie di oltre cinque chilometri quadrati – quella di Milano Expo avrà una dimensione più o meno di un quinto – che venne allestita lungo le due sponde del fiume Huang-Pu – il “fiume dall’argine giallo” – che attraversa la città e che furono unite da un lungo ponte e da un sistema di traghetti. L’aera fu divisa in diverse zone che, a differenza di quanto avverrà a Milano, – ed è già un segnale di come sia cambiato il mondo in soli cinque anni – erano organizzate rigorosamente con criteri geografici. Non mancarono ovviamente le aree comuni, quelle che ospitarono convegni e spettacoli, quelle deputate a museo o ad allestimenti specifici legati alla kermesse e perfino un enorme parco dei divertimenti che copriva da solo la metà della dimensione totale dell’area destinata ad ospitare l’Expo a Milano. Il tema scelto fu “Città migliore, vita migliore“, indubbiamente legato alla situazione contingente di forte inurbazione di tutta l’area del mondo di cui la Cina fa parte e al fatto che proprio in quegli anni si stimava ribaltato lo “storico” equilibrio planetario fra abitanti della città e della campagna, un rapporto passato dal 2% del secolo scorso al 55% stimato nel 2010. I paesi partecipanti furono 186. L’evento fu il più costoso mai realizzato fino a quel momento: l’amministrazione della città di Shanghai spese 20 miliardi di yuan, circa 2,4 miliardi di euro, per la costruzione del sito espositivo e i lavori ad esso connessi che, in gran parte, sono rimasti beni a disposizione della città. L’evento in sé invece, costò circa 12 milioni di yuan, ma gli incassi – fra presenze e sponsorizzazioni varie, superò i tredici milioni. I visitatori a fine evento furono circa 73 milioni, superando di un 5% le attese: meno del 6% di essi era però non-cinese. Fin qui i freddi numeri. Ma fu veramente un “affare” per la Cina?
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Gli impatti economici di Expo

E’ questa la vera domanda, perché se il successo dell’evento, sia dal punto di vista delle presenze che di quello economico, fu indubbio ed incontestabile, i “ritorni” che il colosso asiatico si attendeva dal punto di vista dell’economia furono in realtà meno evidenti del previsto: certo tale fatto, apprezzabile solo con occhi recenti, deriva probabilmente dalla situazione profondamente diversa in cui versava – e versa tuttora – la galoppante economia cinese rispetto a quella ben più claudicante dell’Europa, ma in effetti – proprio forse perché essa già all’”apice” – l’effetto-Expo fu più di immagine che di sostanza e, come non ne avesse particolare bisogno, l’economia cinese conobbe negli anni successivi una relativa stagnazione, o, per meglio dire, un rallentamento della sua crescita. Certo, l’Europa di oggi non somiglia nemmeno lontanamente alla Cina di allora ed è indubbio che un Expo nel Vecchio Continente, in Italia soprattutto, attiri un flusso di visitatori probabilmente non paragonabile a quella di una città come Shanghai – non per nulla, meno del 6% dei visitatori di Expo 2010 furono stranieri, mentre a Milano tale percentuale attesa di almeno cinque-sei volte superiore. E su questa linea di lettura che infatti si colloca lo studio che fu commissionato da Expo stessa all’Università Bocconi di Milano, al fine di ipotizzare un “ritorno” atteso dell’evento, nella sua complessità e al di là dei “numeri” legati ai costi e ai ricavi dell’evento stesso. Secondo quello studio, vecchio ormai di quattro anni e che magari, oggi, avrebbe avuto diverse soluzioni, sono cinque gli ambiti “diretti” in cui l’evento avrà impatti: le infrastrutture, l’indotto legato alla organizzazione dell’evento in sé, la partecipazione dei paesi esteri all’evento, l’indotto turistico e l’attrazione di capitali stranieri in Italia. In sintesi, sempre secondo lo studio, Expo porterà in Italia ad una produzione industriale incrementale entro il 2020 di quasi 70 miliardi di euro, un incremento del valore aggiunto di circa 30 miliardi, un indotto sull’occupazione lombarda e nazionale di oltre 60.000 posti di lavoro e, non ultimo, un gettito fiscale prevedibile di circa 11,5 miliardi di euro. Sarà tutto vero? Difficile dirlo: quello che sembra certo è il fatto che, almeno fino ad ora, la percezione di questi “effetti” è piuttosto blanda. Chi avrà ragione ? Chi sostiene che Expo è un “grave errore” o chi lo attende come il toccasana dei problemi economici del nostro paese? O magari nessuno dei due? E’ presto per dirlo e forse non sarà chiaro nemmeno a fine 2015, ma solo anni dopo. E comunque, siamo in Italia: il dibattito anche su questo tema continuerà, probabilmente, all’infinito…