Carnevale e maschere, origini e tradizioni
Scopriamo i personaggi e le maschere classiche e tradizionali del Carnevale italiano: i loro nomi, la loro origine e le loro caratteristiche
Il Carnevale è la festa del sogno, dell’inversione della realtà e della fantasia. Per questo, fin dai suoi albori, è la festa del travestimento. È la festa della maschera. E in Italia, dove la tradizione carnevalesca vive una storia millenaria che ha attraversato culture e si è ben radicata nel popolo, la maschera ha presto trovato un suo ideale “alleato” nella Commedia dell’Arte, quella forma teatrale popolare assai comune fin dal XVI secolo che, per i propri spettacoli all’aperto improvvisati sulla base di un semplice canovaccio, ha presto “adottato” le maschere per farne dei personaggi ricorrenti, spesso dalle caratteristiche fisiche o caratteriali accentuate e caricaturali.
Da questo singolare connubio sono nate le maschere tradizionali che sono una tipicità tutta italiana e hanno conosciuto una diffusione davvero sorprendente. Si può dire che ogni città dello Stivale ha il proprio personaggio tipico che, in genere, riassume in sé i tratti più caratteristici dei suoi concittadini:
- Tirchio,
- chiacchierone,
- sbadato e
- sbarazzino.
Le maschere hanno finito per definire i propri contorni e costruire una vera e propria tradizione.
Da Arlecchino a Gianduja
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Tuffiamoci in questa strana e divertente galleria di personaggi. Fra le maschere classiche più popolari c’è certamente Arlecchino: furbo come una volpe e pigro come un ghiro, Arlecchino è originario di Bergamo ed è coraggioso e scapestrato. Il suo vestito dai mille colori deriva dalla sua povertà: non potendosene permettere uno, infatti, le sue amiche maschere gli hanno ciascuna regalato un brandello del proprio costume per permettergli un vestito degno del Carnevale. Il suo vestito colorato e allegro ispira un dolce tipico di questa festa, la torta Arlecchino.
In molti canovacci della commedia dell’arte, Arlecchino si innamora di Colombina, altra celebre maschera che arriva da Venezia. Colombina o, come a volte viene chiamata Corallina, è una serva di palazzo molto allegra, assai chiacchierona e pure parecchio irriverente. Sa di essere bella e per questo è molto vanitosa e ci mette perfino un po’ di malizia, incarnando così in pieno lo spirito della sua città e del suo spettacolare e misterioso Carnevale.
A Bologna non si può che incontrare il pedante Dottor Balanzone con il suo immancabile colletto di pizzo e il suo cappello a falde larghe. Spesso porta con sé sotto il braccio dei libri a significare la sua sapienza e la sua saggezza che, in verità, dispensa a piene mani anche quando non gli viene richiesto. È un gran chiacchierone, ma difficilmente conclude qualcosa di quello che dice. Tutto il contrario del popolano Gianduja, la maschera tradizionale di Torino, che ha soprattutto un interesse: il buon vino accompagnato dal mangiare e cantare in allegria. Con il suo immancabile codino ed il cappello a tre punte è un vero simbolo della vita paesana.
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Da Meneghino a Pulcinella
L’alter ego milanese di Gianduja è Meneghino, ovvero il diminutivo di Domenico, il suo vero nome. È infatti molto simile al collega piemontese: stesso cappello, stesso codino e stessa estrazione popolare. Soprattutto stessa propensione al divertimento e alle battute spiritose.
Poco spiritoso è invece Pantalone, anche lui originario del Veneto. Il suo vestito rosso e bianco con il mantello nero e la sua maschera nascondono le sue sembianze da vecchio testardo e brontolone. È inoltre assai tirchio e attaccato alle sue cose.
Pulcinella, invece, è un gran scialacquatore, mangia e beve in quantità industriale ed ha tutte le caratteristiche tipiche della sua terra, Napoli. Generoso ma a volte egoista, allegro ma spesso malinconico, ama cantare e prende la vita con filosofia, perché “accade solo quello che deve accadere”.
L’elenco delle maschere è lungo e si potrebbe non finire mai: c’è Brighella, il servo lombardo spiritoso e altruista ma anche grandissimo attaccabrighe e spesso al centro di baruffe, Capitan Spaventa, lo stravagante spadaccino ligure con la lingua tagliente quanto la lama della sua spada, Rugantino che deve il suo nome al suo carattere – in romanesco significa più o meno “chi protesta con arroganza” – pigro e litigioso, non riesce a frenare la sua lingua e il toscano Stenterello sempre braccato dai suoi creditori eppure generoso ed arguto, tanto da trarsi sempre d’impaccio e da saper aiutare chi è più povero di lui.