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Il Comfort Care, un protocollo per neonati terminali e le loro famiglie

È arrivata la notizia tanto desiderata: una bambino, o un altro bambino, è in arrivo! I genitori sono al settimo cielo, nonni e parenti anche, purtroppo, però, non sempre tutto va come si era programmato. In alcuni casi arriva un momento in cui si scopre che quel bambino che vive nel proprio corpo non è “perfetto” come si immaginava e si desiderava. Ci sono dei problemi.

Se per alcuni, come nel caso della trisomia 21 (o Sindrome di Down) le possibilità di sopravvivenza subito dopo la nascita sono alte, per altri la speranza di vita dopo il parto – sempre che si riesca a portare a termine la gravidanza – si riduce a poche ore se non minuti.

Ha senso in questo caso scegliere di portare avanti la gravidanza sapendo già che il bambino avrà pochissime ore di vita? Se lo chiedeste ad Elisa, Titti, Cristina, Natascia o Chiara Corbella Petrillo vi risponderebbero che loro non hanno avuto scelta; a loro sono arrivati Benedetto, Benedetta, Maria, Giacomo, Letizia Maria e Davide e li hanno accolti così com’erano, portati nel grembo per nove mesi e stretti tra le braccia fino al loro ultimo istante di vita. Il risultato? Una sovrabbondanza di vita!

Un aiuto fin dall’inizio

[dup_immagine align=”alignleft” id=”126064″]“Il problema – racconta Elisa – è che quando viene scoperta la malformazione, molti medici, non ti mettono nemmeno davanti alla possibilità di dire no e considerano questo come un incidente di percorso facilmente eliminabile (soprattutto se si è entro la dodicesima settimana di gravidanza) per poi poter pensare immediatamente ad un altro bambino, senza pensare nemmeno un istante alle gravi conseguenze psicologiche che alcune mamme hanno in seguito ad eventi simili – è allo studio attualmente la Sidrome Post Abortiva.

Negli Stati Uniti, presso il Columbia University Medical Center, la dottoressa neonatologa Elvira Parravicini, brianzola trasferita a New York, ha fondato il primo Perinatal Hospice per l’accoglienza e la cura dei neonati terminali in cui si segue un protocollo di Comfort Care che accompagna non solo la mamma ed il suo bambino, ma tutta la famiglia in questo doloroso momento; un protocollo facilmente esportabile in Italia, ma che vede il rifiuto da parte di chi ritiene inutile il portare a termine una gravidanza per dare al mondo una vita che, già si sa, sarà brevissima.

Cosa prevede il protocollo di Comfort Care

Secondo il protocollo del Comfort Care la pratica del “conforto” non deve essere riservata solo al piccolo paziente, ma a tutta la famiglia ed è per questo che oltre a prevedere calore, nutrizione e trattamento del dolore per il neonato, vengono predisposte tante altre pratiche per aiutare genitori, fratellini e parenti tutti. Innanzitutto, a discapito delle regole dalla terapia intensiva, il bambino ed i suoi genitori possono essere visitati da chiunque voglia far loro compagnia a qualunque ora del giorno e della notte, è consigliato fare foto e prendere impronte di mani e piedi per avere un ricordo e, per chi lo desidera, si può compiere il rito del Battesimo.[dup_immagine align=”aligncenter” id=”126065″]

Elisa ha partorito il suo quarto figlio, Benedetto, all’Ospedale Maggiore di Cremona dove nessuno aveva mai esplicitamente richiesto di mettere in pratica nulla di simile e sono stati proprio lei e suo marito Giovanni a guidare medici e ostetriche in questo nuovo percorso; hanno inizialmente preso contatto con altre famiglie che ci erano già passate e con la disponibilissima dottoressa Parravicini. “Abbiamo cercato aiuto ed abbiamo trovato degli amici per i quali saremo sempre grati”. In altri ospedali come il villa Betania di Napoli, il Gemelli di Roma (dov’è attiva l’associazione La Quercia Millenaria) e il Sant’Orsola di Bologna, grazie all’impegno di mamme che hanno vissuto sulla propria pelle cosa significa accompagnare un figlio terminale e medici che hanno visto la dignità di quegli sguardi e di quei momenti sono nati protocolli specifici di Comfort Care e c’è tutta la volontà di accogliere donne che hanno capito che per loro non c’era nessuna possibilità di scelta, ma solo la possibilità di accogliere e così hanno fatto.

Suona il telefono di Elisa, è il Cappellano dell’Ospedale di Cremona, cerca lei e Giovanni perché c’è una mamma che ha appena scoperto che il bimbo che aspetta ha una gravissima malformazione e ha bisogno del suo aiuto e del suo conforto. Adesso sono loro ad offrire la propria amicizia agli altri e questo è una grandissima ricchezza – e non l’unica –  che ha lasciato loro in eredità il piccolo Benedetto.

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