La vista di fori molto ravvicinati, come quelli di un alveare, scatena reazioni di spavento nei tripofobici.
Sicuramente non è tra le più conosciute, ma tra le varie fobie è una delle più diffuse. Stiamo parlando della tripofobia, ovvero la paura dei buchi.
Sì, proprio così, per molte di voi potrà suonare in modo strano, eppure come molte altre fobie più conosciute, come ad esempio la paura dei ragni (aracnofobia) o la paura degli spazi ristretti (claustrofobia) essa provoca in chi ne è colpito disagio, terrore e addirittura, in casi estremi, attacchi di panico.
La tripofobia si manifesta alla vista di raggruppamenti di fori molto ravvicinati, un gruppo di bolle e molti elementi presenti in natura come piante ed animali possono essere la causa della fobia: ad esempio, per la loro caratteristica forma, gli alveari possono essere un oggetto altamente ripugnante per chi soffre di tripofobia.
Alcune altre fobie possono essere spiegate molto facilmente: i ragni, ad esempio, possono spaventare per il loro lato estetico. Vi starete chiedendo, cosa hanno di disgustoso o spaventoso i buchi? La risposta è sorprendente, e molto più interessante di quanto possiate credere.
Infatti, secondo uno studio dell’Università inglese di Essex, la tripofobia è la traccia in noi di un passato molto lontano.
Gli studiosi hanno sottoposto un gruppo di volontari alla vista di 76 immagini presenti su un sito web dedicato alla tripofobia; queste immagini sono quelle che, più comunemente, scatenano reazioni negative. Successivamente altre foto di buchi sono state mostrate a quanti hanno preso parte all’esperimento, e, con molto stupore, si è potuto constatare come queste, a differenza delle precedenti, non hanno innescato alcun tipo di paura o disgusto. Esistono, quindi, buchi più spaventosi di altri?
La spiegazione è arrivata dopo ulteriori studi, i quali hanno dimostrato come le immagini “bucherellate” che scatenano la paura nei soggetti interessanti sono quelle capaci di risvegliare delle ansie probabilmente ereditate nostri antenati.
Essi infatti, vivendo a diretto contatto con la natura, dovettero imparare a difendersi da animali pericolosi e piante velenose; le immagini che spaventano i tropofobici ricorderebbero, quindi, pericoli incontrati dai primi uomini.
Dichiara Geoff Cole, uno degli specialisti autori della ricerca: «Il nostro studio suggerisce che probabilmente un’antica parte del cervello segnala alle persone che stanno guardando un animale velenoso».
Questa impressionante scoperta, inoltre, suggerisce che proprio perché tale fobia ha radici molto lontane questa è anche molto diffusa e probabilmente anche chi non sa o non crede di essere tripofobico ha un pezzetto di questa eredità dentro di sé.
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