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Expo: lo Zimbabwe e il nuovo cult del croccoburger

Diciamo la verità. Anzi, diciamone due. La prima: Expo è, volente o nolente, una tutto sommato divertente competizione globale tra nazioni, una sorta di Campionato Mondiale della popolarità giocato a colpi di trovate architettoniche, culinarie e creative per conseguire la platonica – ma non per questo meno ambita – palma di padiglione più visitato, più originale o più apprezzato dal variegato pubblico della kermesse. La seconda: è comune esperienza del visitatore-medio il fatto che in Expo di cibo se ne parla parecchio ma, tutto sommato, se ne vede poco, tanto che gli habitué con cui capita di parlare suggeriscono spesso “di portarti un panino da casa”. Ed in effetti, al di là delle code chilometriche alla maggior parte dei punti di ristoro e dei prezzi piuttosto salati che caratterizzano i ristoranti legati a molti padiglioni, la vera questione è che è difficile scovare qualcosa di veramente “originale” da assaggiare, qualcosa di diverso e di nuovo capace di sorprendere. E questo, vuoi per un certo timore da parte degli espositori di “sovvertire” il consolidato gusto occidentale, vuoi per le ferree limitazioni legate ai trattati commerciali e alle normative sanitarie che hanno, per esempio, impedito almeno fino ad ora di poter assaggiare in fiera locuste, cavallette, formiche o altri insetti come paventato da qualche padiglione esotico. Ma da qualche giorno qualcosa è cambiato, è successo un fatto – piccolo per carità – che però potrebbe sovvertire l’ordine costituito che ha imperato, fino ad ora, in Expo. Cosa? L’avvento del “croccoburger”.

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4000 croccoburger in 4 giorni

Alzi la mano chi si ricorda dov’è il padiglione dello Zimbabwe. Nessuno, probabilmente. E fino all’inizio di luglio non ne avrete sentito parlare mai, nemmeno sui giornali. Non tutti i paesi, infatti, possono competere nella grande gara mediatica approntando padiglioni avveniristici o affidando la progettazione degli stessi a guru dell’architettura. C’è chi, come lo Zimbabwe, deve accontentarsi di allestire un angusto spazio in un “cluster”, condividendo l’ambiente con altri paesi in un contesto assai meno faraonico. E, per questo, parecchio meno battuto dalla folla. Ma un’idea, a volte, può ribaltare tutto. Da qualche giorno la minuscola cucina allestita nello stand dello Zimbabwe – piccolo paese africano che molti di voi correranno a cercare ora sulle pagine di Wikipedia ignorandone la collocazione – è presa d’assalto dai visitatori: alcuni se ne vanno inorriditi, ma altri decidono di affrontare la prova e si lanciano nell’assaggio. Cosa addentano? Un hamburger che al posto della “solita svizzera” ha al suo interno una fetta di carne di coccodrillo che, almeno così sostiene chi l’ha assaggiata, si rivela tenera e gustosa, a metà tra il sapore del pesce e quello del pollo. Insomma, un enorme successo che sta proiettando il piccolo Zimbabwe a scalare le classifiche della popolarità e ad uscire dall’anonimato mediatico. I dati sono eloquenti: nei primi quattro giorni di distribuzione sono stati venduti 4000 croccoburger, spesso abbinati nel “menu” da una originale bibita africana estratta dal baobab che, con il suo insolito colore rosa, si rivela una vera squisitezza. Il prezzo del menu, visto il successo, è stato abbassato da 15 a 12 euro e le scorte di carne di coccodrillo portate a Milano, il cui consumo era previsto per tutta la durata di Expo, finirà di questo passo nel giro di dieci giorni. Ma non c’è problema, un “rabbocco” urgente – triplo rispetto al quantitativo precedente – è già stato previsto…

Chi seguirà le orme dello Zimbabwe?

[dup_immagine align=”alignright” id=”179941″]Sia chiaro: l’importazione di carne di coccodrillo in Italia è proibita e le autorità dello Zimbabwe hanno dovuto ottenere una speciale dispensa appositamente per Expo e limitata all’aera della Fiera. I croccoburger quindi, per adesso, rimangono una esclusiva della Grande Manifestazione attraverso la quale – obiettivo dichiarato – le autorità del piccolo paese a ridosso del Sudafrica che una volta si chiamava Rhodesia mirano a rimuovere i divieti internazionali e ad avviare l’esportazione in Italia ed in Europa della prelibata carne dei coccodrilli allevati all’estremo nord del territorio statale, sulle sponde del lago Kariba al confine con lo Zambia. Visto il successo di questi giorni, potrebbe rivelarsi una ottima idea. E sembra che la cosa non si fermerà qui: in programma gli intraprendenti – ed in questi giorni indaffaratissimi – cocco-chef dello Zimbabwe hanno anche la croccopizza – un curioso incrocio afro-partenopeo – e il “coccodrillo d’oro”, ovvero un filetto pregiato per veri gourmet. E torniamo alle nostre affermazioni iniziali: fino ad ora nella classifica della notorietà presso i visitatori hanno prevalso le “architetture” e quindi, se vogliamo, il budget a disposizione di ciascun paese. Ora, con la “piccola rivoluzione zimbabwiana” la palla potrebbe passare finalmente al cibo: la gente sceglierà non il padiglione “più bello” ma quello “più buono”… E sulla scia degli intraprendenti africani, altri paesi ci stupiranno con le loro originali e gustose specialità…

Anna Invernizzi

Classe 1972, cinque figli e una vita intensa. Laureata in Economia, impiegata, scrivo per passione su tutto quello che mi interessa. In particolare creo contenuti a tema cucina e lifestyle.

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Anna Invernizzi

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