Duck Hee Lee, Padova 2015
Ci sono cose che ci sembrano talmente naturali e che diamo per scontate: riconoscere una voce fra la folla, sentire la classica goccia che cade ripetitiva dal rubinetto, orientarci con i rumori del traffico mentre si guida o rilassarci ascoltando la nostra musica preferita. Oppure sentire il rumore di una pallina da tennis che rimbalza sul campo o viene colpita da una racchetta durante una partita. Ora immaginate di fare tutte queste cose nel più totale silenzio. E ciò che è facile diventa, improvvisamente, difficile. Questa è la condizione quotidiana di un ragazzino coreano che si è messo in testa di fare il tennista. Ha compiuto 17 anni da pochi giorni e si chiama Duck Hee Lee. E’ timido e riservato, ma la sua volontà è di ferro. La sua particolarità, che sta stupendo il mondo del tennis giovanile di cui sta diventando a poco a poco uno dei maggiori protagonisti, è il semplice fatto che è sordo dalla nascita e che, anche per questo, la sua abilità e la sua capacità tecnica hanno dell’incredibile.
Lo vedremo un giorno numero uno del mondo? Questo è certamente il suo sogno e sarà solo il futuro a dirlo. Ma al di là di quello che succederà, una cosa è certa già oggi: Lee è soprattutto la dimostrazione che con la tenacia e con il lavoro – e, beninteso, con l’indispensabile dose di talento – i sogni si possono realizzare. L’Italia lo ha scoperto recentemente, durante il torneo Challenger di Padova nel quale è stato invitato grazie ad una wild card e dove si è misurato con giocatori ben più anziani ed esperti di lui. Ma Lee è una vera speranza del tennis asiatico e ha già stabilito un piccolo record: attualmente nelle classifiche ATP – l’organismo internazionale che gestisce il tennis professionistico – figura al numero 278, ma tre anni fa, quando di anni ne aveva a malapena 14, fu il più giovane di sempre ad entrare nel novero dei primi 1000 tennisti del mondo. Conta già diversi successi in ambito giovanile, ma quello che stupisce è la sua condizione ed il suo modo di intendere le partite. Sembrerà secondario, ma non lo è: essere sordi e praticare uno sport professionistico non è cosa semplice.
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Lee non sente le chiamate dei giudici di linea e spesso si ritrova a continuare a giocare anche se la pallina è uscita fino a quando non si ferma l’avversario. Non sente il pubblico, né gli incitamenti, cosa che, rivelando quella capacità che ha solo chi è veramente in gamba di rovesciare a proprio favore un apparente limite, ha spesso dichiarato di essere un elemento addirittura a suo favore, permettendogli di aumentare la concentrazione. Molti dei suoi colleghi si stupiscono di come riesca a giocare nonostante non senta il rumore della pallina e, in particolare, il colpo secco che proviene dal piatto delle corde della racchetta e che indica a tutti i giocatori il momento esatto in cui l’avversario colpisce la palla. Ma al talento non si comanda e la sua storia diventa di diritto una di quelle che solo lo sport, quando non è inquinato dagli interessi e dall’affarismo, è in grado di dare. Una storia che, prima che di un atleta, è quella di un uomo.
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