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David Bowie: la scomparsa di una icona della musica

Si sa che parlare di qualcuno appena scomparso porta inevitabilmente a cavalcare i luoghi comuni, a costruire apologie un po’ forzate e ad essere indulgenti sui lati oscuri. È un po’ inevitabile quando si è costretti a commentare certe notizie. Ma forse, in certi casi, si rischia un po’ di meno. Accade quando chi se n’è andato è stato sensibilmente, indelebilmente ed evidentemente un personaggio che ha lasciato un segno profondo in chi ha incontrato, in quello che ha fatto, nell’arte che ha espresso. È questo il caso di David Bowie, morto a New York dopo una lotta contro il cancro durata 18 mesi, solo due giorni dopo il suo sessantanovesimo compleanno in occasione del quale aveva pubblicato il suo ventisettesimo ed ultimo album, Blackstar, che a caldo e forse un po’ frettolosamente è stato subito letto da molti come il suo sofferto ed un po’ cupo testamento spirituale. Ma sarà il tempo a dirlo. Quello che è certo è che con David Bowie se ne va una pietra miliare della storia della musica degli ultimi cinquant’anni, un personaggio capace come pochi altri di usare il palcoscenico, l’immagine, l’arte per comunicare attraverso ed oltre la sua musica.

Sulle scene dal 1966

C’è chi dice che sia stato il più grande performer rock di sempre. È un’affermazione difficile da dimostrare. Ma, forse, è quella che più si avvicina a Bowie e ne descrive la profonda attitudine, che non era certo quella di un semplice “cantante”… David Robert Jones, alias David Bowie, nasce l’8 gennaio del 1947 in un sobborgo di Londra e non ha ancora 19 anni quando viene pubblicato il suo primo singolo Can’t help thinking about me: era il gennaio del 1966 – gennaio, un mese che ha sempre avuto un ruolo particolare nella vita dell’artista – e da allora per i cinquant’anni successivi fino a Lazarus di qualche giorno fa, la carriera di Bowie si è dipanata, unica nel suo genere, fra straordinarie canzoni, trasformazioni sorprendenti, cambi di look, personalità, sonorità, fra ricerca non solo musicale ma artistica a tutto tondo. Insomma, un personaggio unico che aveva proprio due settimane fa, forse sentendo la fine avvicinarsi, annunciato il suo definitivo ed irrevocabile ritiro dalle scene.


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Allievo di Kemp, artista unico

Raccontare la parabola di Bowie è impresa impossibile in poche righe, così come passare in rassegna gli innumerevoli panni che ha vestito a partire dall’incontro con il coreografo, attore, ballerino e mimo Lindsay Kemp che per Bowie curò la messa in scena degli spettacoli The rise and fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars e che ne segnò profondamente il modo di essere e di esprimersi, tanto da considerarlo un proprio allievo. Negli decenni successivi la stella di Bowie non ha accennato a diminuire la sua brillantezza. Ha attraversato epoche e stili mantenendo la sua inconfondibile identità e la sua comunicativa originale e immediatamente riconoscibile. Bowie era Bowie, a prescindere dal tempo che passava. Poi, un po’ improvvisa un po’ temuta, la notizia della sua morte, divulgata attraverso i canali social ufficiali dall’artista e confermata dal figlio con poche e sofferte parole. Ora resterà il ricordo, un po’ struggente e malinconico. E la sua straordinaria musica. Addio, David. E salutaci le stelle.

Anna Invernizzi

Classe 1972, cinque figli e una vita intensa. Laureata in Economia, impiegata, scrivo per passione su tutto quello che mi interessa. In particolare creo contenuti a tema cucina e lifestyle.

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Anna Invernizzi

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