Diritti delle donne in Italia: le leggi che hanno migliorato la vita delle donne

Dal diritto di voto alla difesa dal revenge porn: ripercorriamo decenni di provvedimenti in difesa dei diritti delle donne.

12/09/2021

Essere donne in Italia: una condizione molto difficile fino a pochi decenni fa. Subalterne al marito, senza voce in politica, in azienda ruoli dirigenziali con il contagocce… Ci sono ancora molte criticità da superare.

Basti pensare al gender pay gap e ai tanti femminicidi che riempiono ancora le pagine di cronaca dei giornali. Nel corso dei decenni alcune importanti leggi sono state approvate in favore dei diritti delle donne. Ecco le più importanti, da quelle promulgate nella seconda metà del secolo scorso a quelle più recenti.

Diritti delle donne: il diritto di voto

Prima del 1945 alle donne non era consentito votare. Nel 1945 viene approvato un decreto che consentirà alle donne di almeno 21 anni (maggiorenni) di votare alle elezioni politiche. L’anno dopo, via libera anche al voto passivo. Le donne con più di 25 anni possono candidarsi alle elezioni ed essere votate.

Nel 1946 le donne hanno votato sia in occasione del Referendum istituzionale (monarchia/repubblica) che per l’elezione dell’Assemblea costituente. Tuttavia, avevano già partecipato alle elezioni amministrative precedenti, risultando elette in numero discreto in alcuni consigli comunali.

Sui banchi dell’Assemblea costituente, inoltre, compaiono le prime parlamentari. Nel 1948 entra in vigore la Costituzione italiana, che all’articolo 3 garantisce pari diritti e pari dignità sociale alle donne, in ogni campo.


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Gli anni Sessanta

Gli anni Sessanta meritano di essere ricordati non solo per il boom economico, ma anche per la diffusione del movimento femminista. Tra le conquiste più importanti di quel decennio, per i diritti delle donne, c’è ad esempio la legge n.7 del 1963, che vieta il licenziamento in seguito a un matrimonio o a una maternità.

La legge estende il congedo matrimoniale e di maternità a tutte le lavoratrici dipendenti. Tuttavia, sappiamo bene che ancora oggi la pratica illegale delle “dimissioni in bianco”, imposte alle lavoratrici al momento dell’assunzione e “accettate” in occasione del matrimonio, di una maternità o altri accadimenti, è ancora una realtà molto diffusa.

Sempre nel 1963, con la legge n.66, lo Stato ammette la donna “ai pubblici uffici ed alle professioni”, inclusa la Magistratura, avviando così altre riforme conseguenti. Nel 1981 le donne vengono ammesse nella Polizia, dal 1999 sono presenti nelle Forze Armate.

I diritti delle donne: il divorzio

Il 1970 è un anno molto importante per i diritti delle donne. Prima del 1970, infatti, per le coppie sposate era possibile solo separarsi, con il rischio per la donna di rovinare la propria reputazione per sempre e di non ottenere nessun diritto per sé e per i figli.

La prima legge sul divorzio concede e regolamenta lo scioglimento del vincolo matrimoniale attraverso un iter di cinque anni, poi ridotti a tre nel 1987. Nel 2015, il legislatore ha poi ridotto ulteriormente le tempistiche per il divorzio, con l’introduzione del “divorzio breve”.


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Tornando alla legge iniziale, l’iter non prevedeva per la donna la possibilità di riconoscere i figli avuti fuori dal matrimonio o dopo il divorzio. Successivamente, con la riforma del Diritto di Famiglia del 1975, anche i figli nati all’infuori del matrimonio saranno considerati ugualmente “legittimi”.

L’adulterio del marito potrà essere considerato una causa plausibile per la separazione e sarà inoltre consentita la comunione dei beni. Complessivamente, la legge n.151 del 19 maggio 1975, cioè la riforma del diritto di famiglia, stabilisce la parità tra i coniugi. La moglie non è più sottomessa al marito, sia per quanto riguarda la potestà sui figli che nella gestione del patrimonio familiare.

Aborto e matrimonio riparatore

Un’altra pietra miliare nel percorso per la parità di genere e l’autodeterminazione delle donne è la legge n.194 del 1978, che disciplina le modalità di accesso all’aborto.

La legge 194 consente alla donna, nei casi previsti (motivi personali, stupro, salute della donna e del neonato, ecc.), di ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza in una struttura pubblica, nei primi 90 giorni di gestazione. Tra il quarto e quinto mese è possibile abortire solo se la gravidanza comporta gravi rischi per la donna e per il bambino.

Negli anni Ottanta le leggi continuano ad adattarsi ai cambiamenti della società, in alcuni casi con colpevole ritardo. Basti pensare che la legge che abolisce il cosiddetto “matrimonio riparatore” e il “delitto d’onore” è stata approvata solo nel 1981.

I diritti delle donne: la parità sul lavoro

I primi anni Dieci del Duemila sono caratterizzati da importanti provvedimenti per i diritti delle donne in ambito lavorativo. Con il decreto legislativo n.5 del 25 gennaio 2010, si rafforza il diritto delle lavoratrici a percepire, a parità di condizioni, la stessa retribuzione dei colleghi maschi.

La legge Golfo-Mosca del 2011, conosciuta come legge sulle “quote rosa”, stabilisce invece che i Consigli di Amministrazione delle aziende quotate in Borsa abbiano almeno un quinto di componenti donne. Tuttavia, la violenza resta un tema di grande attualità. Per questo, negli ultimi anni, il Parlamento ha approvato diverse leggi in difesa del gentil sesso.

Stalking e femminicidio

La legge che tutela le vittime di stalking e punisce gli autori di atti persecutori è la n.38 dell’aprile 2009. Questo provvedimento ha posto le basi per la formulazione del reato di stalking, con l’inserimento dell’articolo 612 bis nel Codice penale. Con un successivo intervento, nel 2013, il legislatore ha inoltre inasprito alcuni aspetti dello stalking.

Nel 2013 è stato poi approvato un decreto contro il femminicidio e la violenza sulle donne. Il decreto, poi convertito in legge (n.119/2013), prevede l’aumento di un terzo della pena se alla violenza assiste un minore, se la vittima è in gravidanza, se la violenza è commessa dal coniuge (anche se separato) e dal compagno (anche se non convivente).

Revenge Porn

Il 2019, infine, segna un traguardo significativo in tema di “revenge porn”, cioè la vendetta a sfondo sessuale e pornografico di cui molte donne (anche giovanissime) sono vittime, spesso da parte di ex fidanzati. L’intervento normativo prevede l’introduzione del comma 1 all’articolo 612-ter del Codice penale.

Punisce con la reclusione, da 1 a 6 anni, e con una multa da 5.000 a 15.000 euro, chiunque pubblichi o diffonda immagini o video dal contenuto esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone ritratte.