Da domenica le donne arabe potranno mettersi alla guida.
Da domenica 24 giugno, le donne saudite potranno mettersi alla guida di un’auto. Questa è solo una delle riforme del giovane principe Mohammed bin Salman, miranti a concedere una maggiore apertura nei confronti della società e in particolare delle donne.
Con una serie di provvedimenti è stato permesso alle donne saudite di poter assistere alle partite di calcio maschile, a concerti e spettacoli teatrali, ed è stato pianificato l’inserimento di un maggior numero nel mondo del lavoro.
La revoca del divieto delle donne saudite di guidare non rappresenta solo un tentativo di risollevare la reputazione del Regno Wahabita di fronte alla comunità internazionale – era rimasto infatti l’unico paese al mondo con una simile legge – ma ha anche l’obiettivo di stimolare l’economia, aumentando la partecipazione delle donne al mondo del lavoro e nel campo dei servizi. Con questa riforma viene infatti concesso alle donne di guidare anche taxi e scuolabus, punto che ha destato interesse all’interno delle frange più tradizionaliste in quanto, essendo in Arabia Saudita ancora proibita la promiscuità sessuale, le donne senza patente potranno sentirsi più libere e tranquille con un’autista donna.
Sempre da un punto di vista economico, con questa riforma viene anche liberata una forza di lavoro potenziale, quella delle donne, che partendo da una condizione di inattività, hanno saputo lentamente farsi spazio fino a ritagliarsi una posizione professionale indispensabile, di cui la società saudita non vuole privarsi. Così, permettere alle donne di guidare, in un paese in cui i trasporti pubblici sono quasi inesistenti, vuol dire decidere di sfruttare e favorire l’espressione di questa forza lavoro molto importante.
Negli anni sono state date dalle autorità religiose e politiche molte giustificazioni al divieto: alcuni sostenevano che fosse inappropriato alla cultura saudita che le donne guidassero, perché gli uomini non avrebbero saputo come comportarsi nel traffico insieme alle donne. Altri erano convinti che premettere alle donne di guidare avrebbe incentivato la promiscuità, provocando il collasso della famiglia tradizionale; inoltre un sacerdote ha addirittura dichiarato – senza averne alcuna prova – che guidare avrebbe danneggiato le ovaie delle donne.
Il provvedimento arriva dopo anni di protesta, la prima risale infatti al 1990, quando 47 donne sono state arrestate dopo aver guidato per le strade della capitale Riad.
Altre campagne nel corso degli anni hanno portato all’arresto di numerose attiviste per i diritti delle donne, e dall’inizio del mese scorso ne sono state arrestate almeno 17, accusate di aver messo in pericolo la sicurezza del Regno Wahabita.
Difatti, nonostante i segnali di apertura del principe, in Arabia Saudita continua ad esistere il “tutorato maschile obbligatorio”, norma che limita fortemente la libertà delle donne e che è per questo al centro delle proteste delle attiviste.
Alle donne saudite è infatti negata la possibilità di vivere una vita in maniera indipendente. Per eseguire molte attività devono infatti richiedere il permesso ad un membro maschio della famiglia, il custode legale (spesso il marito, il padre, il fratello o il figlio), e questo per attività anche molto semplici come, ad esempio, viaggiare e studiare.
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