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Antoni Gaudì: a 161 anni dalla nascita del “Dante dell’Architettura”

Di lui hanno scritto e detto di tutto: santo, genio, visionario, templare, massone, alchimista. Ma la fama ed il fascino che lo circondano e che attirano milioni di visitatori alle sue opere è qualcosa che non si può spiegare fermandosi semplicemente alla sua strabiliante tecnica di architetto e al suo stile assolutamente unico. Antoni Gaudì, nato centosessantuno anni fa, il 25 giugno 1852 a Reùs, un paesino sul mare a pochi chilometri da Barcellona, rimane senza alcun dubbio uno dei più grandi geni dell’epoca moderna ed uno dei fenomeni più studiati ed originali della cultura mondiale. Le Corbuisier lo definì: “il più grande architetto in pietra del XX secolo”, i suoi concittadini lo chiamavano “l’Architetto di Dio”. Una cosa è certa: qualunque artista viene ultimamente “classificato” in uno stile, una corrente, una “scuola” o in una certa epoca. Gli architetti sono modernisti o avanguardisti o classici o barocchi o romantici. E poi c’è Gaudì. Unico, inimitabile ed inimitato. Il solo a tentare un’impresa che nessuno, da secoli, aveva più tentato: la costruzione di una cattedrale, sostenuta solo ed esclusivamente dalle offerte del popolo.

Figlio di calderai, acuto osservatore della natura

[dup_immagine align=”alignleft” id=”27873″]Gaudì era figlio di calderai, gli artigiani del rame. E fu guardando suo padre che dalle lastre piane di metallo dava forma agli oggetti che probabilmente concepì il suo concetto progettuale, la sua idea di spazio dove, spesso, l’idea non nasceva da disegni, ma da modelli in gesso che egli stesso plasmava. Da bambino era di salute cagionevole e passava così lungo tempo ad osservare la natura: gli alberi, le foglie, il mare, i colori, le forme. E da sempre la natura è stata la sua ispiratrice e la “maestra” della sua architettura. L’idea è potente e semplice: “ciò che è in natura è funzionale e ciò che è funzionale è bello. La bellezza è lo splendore della verità, senza la quale non esisterebbe l’arte. Per costruire, quindi, occorre conoscere bene il creato”. E da questa intensa osservazione, immedesimazione nella natura che Gaudì ha plasmato la propria tecnica costruttiva. Arrivò a Barcellona per frequentare la scuola di architettura e presto si costruì la fama di architetto geniale, originale, unico: l’ideale per la ricca borghesia catalana, allora in piena ascesa, per ostentare ricchezza ed eccentricità attraverso la progettazione di abitazioni sorprendenti. Nacquero così le sue grandi opere “civili”. Iniziò così la vita dell’architetto in voga, molto dandy ed entrò nell’alta società.
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La Sagrada Familia

[dup_immagine align=”alignright” id=”27904″]Ma nel 1883 successe il fatto che cambiò la sua vita. Fu infatti incaricato da una confraternita devota a San Giuseppe di continuare i lavori di costruzione di una “Tempio riparatorio” dedicato alla Sacra Famiglia di Nazareth su un terreno acquistato da un libraio, Josep Maria Bocabella, nel bel mezzo dell’Eixample, l’avveniristico quartiere “senza chiese” concepito da Ildefonso Cerdà. Lavori che erano stati iniziati dall’architetto diocesano Villar, che aveva però abbandonato il cantiere per dissapori con la committenza. Gaudì aveva sempre vissuto la sua fede in maniera molto virile, mediterranea e fu nel costruire la Sagrada Familia che divenne compiutamente “Gaudì”. Nel 1910 lasciò qualunque incarico per dedicarsi esclusivamente alla costruzione del tempio: un’opera che sapeva bene che non avrebbe potuto finire e che avrebbe dovuto lasciare nelle mani di un altro. “Il mio Cliente non ha fretta”, ripeteva. Si trasferì a vivere nei laboratori del tempio, chiese l’elemosina per le strade di Barcellona quando i fondi per la costruzione scarseggiarono, costruì migliaia di modelli in gesso in scala per permettere ai sui successori di seguire le sue idee, ma senza imporle, lasciando a loro la “continuazione” dell’opera, proprio come facevano gli architetti alle prese con le grandi cattedrali medievali. Per questo, la definizione forse più calzante di Gaudì è quella che diede Monsignor Regonesi, nunzio apostolico in Spagna, quando nel 1926, pochi mesi prima della morte del Maestro, visitò il cantiere della Sagrada ancora agli inizi: “Lei è il Dante dell’Architettura”. Credo che non si possa dire di meglio in poche parole.

 

Anna Invernizzi

Classe 1972, cinque figli e una vita intensa. Laureata in Economia, impiegata, scrivo per passione su tutto quello che mi interessa. In particolare creo contenuti a tema cucina e lifestyle.

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Anna Invernizzi

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