I latticini fanno male? Un dibattito aperto

Esperti e nutrizionisti si scontrano sui benefici del latte e dei suoi derivati. Scopriamo le novità in materia.

08/03/2022

Il posizionamento dei latticini nella dieta e nella considerazione dei nutrizionisti è questione assai dibattuta. Anzi, più che un confronto fra diverse idee, si può dire che sia in corso un vero e proprio duello fra posizioni che appaiono del tutto contrapposte.

Coloro che ritengono il latte un alimento sano, anzi salutare, completo di molte sostanze nutritive e che “fa bene alle ossa”, prevenendo l’osteoporosi, e coloro che lo ritengono un vero e proprio flagello. Insensato vezzo dell’uomo che, unico fra tutte le specie, continua a berlo anche da adulto e responsabile di diverse forme tumorali.

latte

Insomma, il latte e il formaggio fanno male o fanno bene? E la confusione in merito è acuita dal fatto che diverse ricerche scientifiche fatte da gruppi di esperti in tutto il mondo, sembrano dare risultati contrastanti, tanto che nemmeno le organizzazioni sanitarie internazionali, comprese quelle italiane, hanno preso una posizione definitiva in merito.  

Quali sono gli alimenti che contengono latte?

La questione è assai più importante di quanto sembri. Il latte infatti è diffusissimo nelle preparazioni alimentari e sono moltissimi i cibi che lo contengono in diverse forme e con diversi scopi.

Ovviamente tutti i tipi di formaggio e lo yogurt, i gelati e le creme di ogni tipo. Molti dolci, biscotti, merendine, budini, frullati e frappé. E fin qui poco di nuovo. Ma il latte è spesso presente in diversa maniera in moltissime preparazioni: dalla pasta fresca a quella al forno, da salse come la besciamella a sformati e soufflé, dagli gnocchi alla pizza.

E ancora il latte è utilizzato come addensante negli insaccati, nello scatolame e in molti prodotti pronti o precotti acquistabili al supermercato.

Perché il latte fa male alla salute (se è vero…)

Occorre subito dire che il tema del contendere ha poco a che vedere con l’intolleranza ai latticini, che è una vera e propria patologia dovuta alla carenza di un enzima nello stomaco che impedisce l’assimilazione del lattosio. La questione sulla salubrità dei latte e derivati è legata all’effetto che esso fa all’organismo di tutti gli individuai, anche quelli che intolleranti non sono.

Esiste un indicatore assai importante che a tale scopo è da tenere in considerazione: si chiama infiammazione sistemica di basso grado o “low-grade inflammation” o ancora infiammazione cronica. Si tratta di uno stato di “perenne” infiammazione del nostro corpo. Quest’ultimo assume una vera e propria forma cronica e che è direttamente corelabile a un gran numero di disturbi e malattie tipiche del nostro tempo.

Da varie forme tumorali al morbo di Alzheimer, dai problemi cardiocircolatori al diabete. Dagli scompensi metabolici alla depressione oltre che principale campanello di allarme per sovrappeso e dell’obesità. Si tratta di uno dei principali “flagelli” patologici del nostro tempo. Tipico dello stile di vita occidentale soprattutto in termini di abitudini alimentari.

Latticini, un vero “killer silenzioso”?

Insomma, un vero e proprio “killer silenzioso”, come lo definì anche la rivista Time dedicandogli una copertina nel 2004. Se infatti lo stato di infiammazione del corpo è una reazione protettiva rispetto all’attacco di un agente esterno potenzialmente dannoso, essa è normalmente di breve durata e cessa con il venir meno del pericolo.

Il suo persistere “costante”, seppur con bassa intensità, porta alla lunga a scompensi e malfunzionamenti organici. Essi sfociano poi in malattie spesso gravi. Ebbene, è opinione piuttosto diffusa, anche fra i medici, che il latte e i formaggi abbiano un negativo effetto.

latticini

I formaggi magri fanno meno male degli altri?

Il formaggio è senza dubbio il più diffuso e apprezzato fra i derivati del latte. Ed è quello intorno al quale le posizioni divergono in maniera sensibile, anche perché ampia è la gamma di quei prodotti caseari che sono classificati come “formaggi”. I formaggi sono individuabili come più o meno “magri” o “leggeri” in base alla quantità di grasso che contengono.

Si va da quelli derivanti da cagliate magre, freschi e parzialmente scremati in cui la percentuale è inferiore al 20% a quelli molto grassi come il mascarpone dove l’incidenza è superiore al 50%. Diversi gradi intermedi vedono a mano a mano aumentare l’incidenza del grasso fra:

  • Ricotta e grana (tra il 20 e il 35%);
  • Caprini (circa 40%);
  • Mozzarella, caciotta e provolone (45%);
  • Fontina, taleggio e gorgonzola (intorno al 50%).

Gli studi che sembrano “scagionare” i latticini

Ora, è vero che l’aumento di tale marcatore sia direttamente connesso a una alimentazione sbilanciata e ricca di sostanze eccessivamente nutrienti o poco digeribili. Tuttavia il fatto che un formaggio più o meno magro abbia una incidenza significativa sull’infiammazione cronica sembra essere messo in discussione dagli studi più recenti.

Infatti, una autorevole pubblicazione scientifica sembra sfatare questo “mito” confutando i risultati che generalmente condividono le più tradizionali teorie nutrizionali: in particolare, non sembra esserci alcun legame diretto fra il consumo di latte e formaggi e il livello dei bio-marker infiammatori dell’organismo.

Lo studio è stato condotto da un pool di ricercatori della Laval University del Québec e del locale Centre Hospitalier Universitaire e pubblicato sull’American Journal Clinical Nutrition, prestigiosa e autorevole rivista scientifica del settore. I risultati sono stati divulgati in Italia da Assolatte, l’associazione nata nel 1945 e che rappresenta le maggiori industrie italiane operanti nel comparto lattiero-caseario.

bicchiere di latte

Una nuova ipotesi di lavoro

Uno studio rigoroso che ha coinvolto un elevato numero di soggetti in sovrappeso e obesi, scelti con un campione randomico e significativo nella popolazione. Essi sono stati sottoposti a periodi di monitoraggio nel corso di un percorso nutrizionale alla ricerca di qualunque segnale di correlazione fra il consumo di latticini e il livello di infiammazione sistemica di basso grado.

I risultati hanno ribaltato lo status quo dimostrando che nel 50% dei casi analizzati non era riscontrabile alcun legame fra le due cose e che nel restante 50% addirittura il consumo di latte e derivati abbia avuto un effetto positivo abbassando il valore dei marcatori.

Una tesi nuova che indubbiamente andrà approfondita e suffragata con ulteriori ricerche ed evidenze sperimentali. Si tratta tuttavia di una prima “crepa” nella convinzione diffusa su questo argomento che apre a nuovi scenari e a riconsiderare la posizione dei prodotti lattiero-caseari nello schema nutrizionale condiviso dagli specialisti. Per adesso incassiamo questa buona notizia: finalmente qualcosa di gustoso e invitante sembra anche essere buono per la salute.